Nardella e Rasero, primi cittadini di Firenze e Asti, hanno partecipato a uno speciale di Cgtn, emittente della propaganda del Pcc. In un momento di difficoltà nei rapporti con i governi, Pechino rispolvera la carta delle amministrazioni locali
Dario Nardella e Maurizio Rasero sono i due sindaci italiani, rispettivamente di Firenze e Asti, ospiti ieri del programma “Conversation with Global Mayors” (Conversazione con i sindaci nel mondo) di Cgtn, televisione controllata dal dipartimento per la propaganda del Partito comunista cinese. Lo speciale è stato presentato come “più di una semplice conversazione”, “un brainstorming globale” tra 21 sindaci e funzionari governativi di 18 Paesi, tra cui Cina, Stati Uniti, Germania, Italia, Brasile e Zambia. “Approfondiremo come le città possono stimolare la vitalità locale e cogliere le opportunità di cooperazione”, si legge nella presentazione.
In un momento di difficoltà nei rapporti con i governi dei Paesi occidentali, la Cina gioca la carta delle amministrazioni locali. “Il Partito comunista cinese o il governo della Repubblica popolare cinese possono cercare di utilizzare questo lavoro di collegamento più ampio per vari scopi, tra cui farsi amici politici disposti a rappresentare gli interessi della Repubblica popolare cinese pubblicamente o a fare pressioni dietro le quinte”, ha dichiarato un anno fa Mareike Ohlberg, senior fellow del German Marshall Fund, in audizione davanti alla US-China Commission a Washington, DC. “Se incontra opposizione con un governo nazionale o federale, può anche cercare di esercitare pressione su di esso cercando di conquistare le amministrazioni locali, le imprese o altri gruppi di interesse”, ha dichiarato ancora.
Recentemente, lo Stato americano dell’Indiana ha vietato i gemellaggi con città di diversi Paesi, Cina inclusa. “Il Partito comunista cinese spinge gli accordi di gemellaggio per ottenere un punto d’appoggio qui, non per aiutare l’Indiana”, ha dichiarato il repubblicano Jim Banks, membro della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. “È un metodo con cui questi Paesi possono esercitare un po’ di soft power e cercare di influenzare i politici americani”, ha spiegato il rappresentante democratico Mitch Gore alla Camera dei rappresentanti dell’Indiana, il primo a proporre il divieto.