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Dottrina sociale cattolica. Radici e sviluppi raccontati da Pedrizzi

I germi della Dottrina sociale cattolica sono numerosi. Si tratta ora di farli fiorire e fruttificare, eliminando quanto vi è di caduco e datato e attualizzando, invece, quanto vi è di perenne e universale. Di questi valori eterni avrebbe dovuto tenere conto anche l’ultima Settimana sociale della Chiesa cattolica, tenutasi recentemente a Trieste. La riflessione di Riccardo Pedrizzi

In ogni epoca la Chiesa, a partire dagli apostoli, aveva sempre operato perché l’ordine sociale risultasse una proiezione dell’ordine morale, ma fu solamente nell’800 che sorse la necessità di un movimento cattolico che elaborasse nuove dottrine sociali sulla scia degli insegnamenti di Papi, vescovi e laici che sempre avevano parlato di dogmi, teologia, cristologia, liturgia ma anche di matrimonio e famiglia, doveri e diritti naturali e civili, rapporti e relazioni sociali, Stato e politica.

In particolare, dopo la rivoluzione francese del 1789, si ha per la prima volta nella storia dell’umanità una vera e propria frattura tra società civile e società religiosa, lo Stato si distacca dalla Chiesa, l’uomo si libera da ogni “superstizione” religiosa e ritiene di risolvere tutti i propri problemi con il lume della propria ragione. Ed è proprio da questo momento che sarà necessario per i cattolici attrezzarsi con dottrine e teorie che, ispirate al Vangelo di Cristo, offrano criteri per giudicare la realtà e strumenti per incidere in profondità nella società.

Nasce così la Dottrina sociale cattolica che nel secolo avrà il suo punto più alto e significativo nella Rerum Novarum di Leone XIII. E in quest’opera di elaborazione e di sistematizzazione i laici non saranno pochi se si pensa a de Maistre, de Bonald, Donoso Cortes, Giuseppe Toniolo, che vanno ad aggiungersi a religiosi come padre Taparelli D’Azeglio. Sono questi, appunto, i germi dai quali potrà e dovrà nascere oggi, come suggeriva Del Noce, una nuova fioritura della Dottrina sociale cattolica.

Come non far riferimento, ad esempio, a Joseph de Maistre e alla stringente analisi che egli fa di quella che Augustin Cochin chiama “la meccanica della rivoluzione” per poter cogliere, anche ai nostri giorni, i caratteri universali, costanti e ripetitivi di ogni fenomeno rivoluzionario che egli, al di là delle contingenze storiche e della datazione degli avvenimenti, già individuava per la rivoluzione dell’ottantanove? Oppure a Louis Gabriel Ambroise de Bonald che fa derivare tutto il suo sistema di pensiero dalla premessa fondamentale che Dio, avendo creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e vivendo con lui in perenne comunione, gli ha dato la legge, la parola e la verità che dovranno essere custodite nell’ambito della famiglia (nel 1802, proprio a tutela di questa istituzione naturale, Du Divorce scrisse un trattato contro l’introduzione del divorzio) e della società? Proprio per questo, secondo il Visconte, non vi può essere separazione tra società e religione.

E come si può prescindere, se si vuole affermare una visione personalistica della società, dalle teorie, innovative per quei tempi ma tutt’oggi ancora assai attuali, sul solidarismo, sulla giustizia sociale e sui corpi intermedi di padre Taparelli D’Azeglio? Il suo saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto – pubblicato tra il 1842 e il 1843 e poco conosciuto ai nostri giorni, ma che fino al 1949 aveva avuto già ben 11 edizioni –, rappresenta sempre una miniera a cui attingere per chi voglia contribuire, superando la fase della semplice negazione dei valori cosiddetti moderni, all’elaborazione di una proposta cattolica alternativa.

Pochi anni dopo a centinaia di chilometri di distanza, in Spagna, veniva pubblicato un altro testo che partiva dalle stesse premesse, ma si incentrava sulla disamina delle principali ideologie del tempo alla luce della dottrina cattolica: si trattava del Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo di Juan Donoso Cortes. Il libro contiene una critica profetica della civiltà moderna come trionfo dell’anonimo e immenso cumularsi nelle mani di pochi del potere politico ed economico. Da ciò il rifiuto sia del liberalismo che del socialismo, che appaiono ingannevolmente in contrapposizione tra loro, ma in realtà collaborano allo stesso fine: la realizzazione della rivoluzione anticattolica.

Il secolo, infine, si chiudeva, a seguito della pubblicazione della enciclica di Leone XIII Rerum Novarum, con un vero e proprio rilancio del pensiero e dell’azione sociale del movimento cattolico, del quale doveva avere parte non secondaria Giuseppe Toniolo. Promotore dell’Unione cattolica per gli studi sociali ed in seguito suo presidente, collaboratore autorevole del giornale vaticano L’aurora, membro del Comitato permanente dell’Opera dei congressi, ascoltato consigliere laico dei pontefici del tempo, autore del Trattato di economia sociale, del Programma dei cattolici di fronte al socialismo e de “Il concetto cristiano di democrazia” – tanto per citare alcune delle opere che gli procurarono vasta stima non solo in Italia ma anche all’estero –, Toniolo aveva posto alla base della sua dottrina sociale una concezione organica della società, risultando questa formata da un complesso di organismi (persone, famiglie, associazioni, Stato) e nella quale l’autorità si sposa con la libertà e i diritti si conciliano con le responsabilità della persona.

Come si può vedere, dunque, i germi sono numerosi e noi, evidentemente, ci siamo dovuti limitare necessariamente a segnalarne solo qualcuno tra i più significativi, alla ricerca delle nostre radici. Si tratta ora di farli fiorire e fruttificare, eliminando, naturalmente, quanto vi è di caduco e di datato nell’opera di questi autori e attualizzando, invece, quanto vi è di perenne e di universale. Di questi valori eterni avrebbe dovuto tenere conto anche l’ultima Settimana sociale della Chiesa cattolica, tenutasi recentemente a Trieste.



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