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Usa e Russia, cosa farà John Kerry a Mosca. Parla Pelanda

Martedì il segretario di Stato John Kerry riparte da Cuba, dove ha accompagnato Barack Obama nella storica visita a l’Avana, per recarsi a Mosca. Si tratta di una visita ufficiale che ormai è diventata una sorta di consuetudine, ma che arriva come segnale distensivo su diversi dossier, il primo fra tutti la guerra civile siriana, ferma dal 27 febbraio con un accordo di cessate il fuoco stretto proprio da Russia e Stati Uniti, in una rinnovata fase di dialogo.

L’INCONTRO CON PUTIN

Washington ha chiesto anche un incontro riservato del capo della diplomazia americana direttamente con il presidente russo Vladimir Putin: lo ha fatto sapere nel pomeriggio di lunedì il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, che aveva annunciato che “si sta lavorando” per spostare e modificare l’agenda del presidente e far fronte a questa richiesta. L’incontro ci sarà il 24 marzo, ultimo giorno dei negoziati di Ginevra sulla crisi siriana (iniziati dieci giorni fa).

“FINIRE SENZA GUAI”

Si tratta di un meeting strategico di primo livello tra due delle grandi potenze del mondo che arriva in un momento particolare: “Obama vuole finire la sua presidenza senza guai, la Russia cerca di collaborare dove può e chiede minore interferenza su dossier di proprio stretto interesse, ma non credo che rispetto alle questioni legate alle contingenze del momento ci possa essere molto di più”, commenta con Formiche.net il professor Carlo Pelanda, coordinatore del dottorato di ricerca in geopolitica e geopolitica economica dell’Università Guglielmo Marconi di Roma ed editorialista di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza. “Sarebbero sorprendenti decisioni a lungo raggio”, dice Pelanda.

IL CONGELAMENTO

“Siamo davanti ad una fase di congelamento”, aggiunge il professore, “d’altronde l’attuale Casa Bianca non è più un interlocutore a lungo termine, perché chiunque sarà il nuovo inquilino avrà linee diverse da quelle di Obama”. Per esempio, Hillary Clinton ha già dimostrato di essere molto più incline ad una posizione più aggressiva che riporti l’America ad occupare ruoli centrali nelle dinamiche globali. “Washington adesso è molto meno confrontational, e molto meno russofoba, che in altri momenti” spiega Pelanda, e dunque Mosca può approfittare di questa posizione per giocare un ruolo più centrale: “I congelamenti hanno sempre un raggio più ampio del territorio su cui avvengono”, nel caso il rapporto tra Usa e Russia va ovviamente oltre alla situazione in Siria.

IL PETROLIO

Uno dei grandi argomenti sul tavolo, oltre a qualche accordo economico e commerciale, potrebbe essere l’aumento del prezzo del petrolio, secondo il docente: “Mosca ha un bisogno disperato che si alzi il costo del greggio, e allo stesso tempo trova una necessità simile nei sauditi, che hanno sbagliato le previsioni a tre anni sull’abbassamento dei costi: è possibile che l’America giochi un ruolo, che favorisca l’avvio di un percorso e si faccia da ulteriore ponte di dialogo con Riad. Washington è vero che ha tralasciato in parte il dialogo con l’Arabia Saudita, e con Israele, ma è del tutto improbabile che ci sia un abbandono reale nelle relazioni: la Russia lo sa, e cerca di trovare un posizionamento all’interno di queste nuove dinamiche”. “Non bisogna dimenticarsi – aggiunge Pelanda – che dietro al parziale ritiro delle componenti militari russe dalla Siria, c’è anche un tentativo di incontrare il consenso degli Stati sunniti”. Riad aveva accolto positivamente la decisione russa, definendolo qualcosa per cui essere ottimisti: “Mosca potrà così lavorare meglio al tavolo negoziale, sollevandosi in parte del peso del coinvolgimento militare diretto, al fianco di partner sciiti ideologizzati come l’Iran o scomodi come il regime di Bashar el Assad”.

CREDITO INTERNAZIONALE

La Russia cerca di accreditarsi come una nazione stabilizzante, osserva Pelanda: “Per esempio, sa che una Turchia destabilizzata non è gestibile dall’Occidente, e per questo si pone in modo più accondiscendente su una possibile de-escalation. D’altro canto, gli Stati Uniti potrebbero chiedere ai russi di fare pressioni sulla Corea del Nord perché quelle che finora sembrano più che altro sceneggiate non si trasformino in qualcosa di più serio”. Sullo sfondo una serie di questioni che la Russia potrebbe mettere sul piatto in cambio di un atteggiamento di maggiore condivisione e dialogo: “A cominciare da una minor interferenza in Ucraina, altro conflitto per il momento congelato; evitare di destabilizzare la già precaria situazione del Libano; non mettere in difficoltà Hezbollah, garantendo comunque sicurezza ad Israele (da poco Mosca s’è mostrata molto indispettita per aver individuato che armamenti russi forniti ai siriani sono finiti in mano al partito/milizia libanese, ndr); tenere un ruolo forte nel Mediterraneo orientale, mantenendo intatti i propri interessi sull’energia”, dice Pelanda. L’incontro di alto livello a Mosca, potrebbe essere anche un passaggio per segnare dei paletti, ossia mettere in chiaro dossier su cui si trova una via di collaborazione e in cui si evita la sovrapposizione di influenze, magari facendone restare indietro altri (su cui lo scontro potrebbe comunque alzarsi).

HONEST BROKER

“La linea in politica estera russa è storicamente legata al portare all’estremo le situazioni per vedere poi cosa succede, Putin deve rivenderla per mantenere il consenso interno, perché o si affida a proclami nazionalisti oppure deve scontrarsi con una situazione economica difficile” che potrebbe sollevare la popolazione, “tuttavia – aggiunge il professore – questa linea è ammorbidita, o gestita in modo migliore, grazie alle attuali abilità delle diplomazia russa”. Per Pelanda, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov sta facendo passare la Russia come un “honest broker” davanti all’Occidente, e potrebbe proseguire questo ruolo anche sulla crisi libica, per esempio, cercando di dare una mano e allineandosi alle posizioni di Europa, Stati Uniti e Onu.

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