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Come e perché è fallita l’intesa sulla Siria tra Putin e Obama

Non sono bastati 90 minuti di colloquio serrato e riservato tra il presidente americano Barack Obama e l’omologo russo Vladimir Putin per trovare un’intesa sulla crisi di Aleppo, passaggio che avrebbe dovuto essere preliminare per l’intera guerra civile siriana. L’incontro tra i due leader seguiva di poche ore un altro vertice a due, quello tra i rispettivi ministri degli Esteri, John Kerry e Sergei Lavrov (il secondo nel giro di una decina di giorni), pure quello rivelatosi infruttuoso. Eppure Putin non più tardi di venerdì annunciava in un’intervista che un’intesa con Washington era “imminente”.

LACUNE E OTTIMISMO

Il capo di Stato russo ha continuato sulla strada di un ottimismo molto propagandistico (il piano, più o meno: “se io sono ottimista e la cosa salta, la colpa dev’essere per forza degli altri”), sostenendo che un accordo “può essere trovato” già nei “prossimi giorni”, mentre Obama ha parlato di “gaps of trust” in un conferenza stampa da Hangzhou, in Cina, dove si è svolto l’incontro a margine del G20. Il presidente americano ha usato due volte il termine “lacune” a proposito della fiducia nei confronti di Mosca, una semantica forte usata per marcare le differenze di posizioni. Saranno i messi diplomatici Kerry e Lavrov a lavorare comunque per tenere aperto il dialogo, è questa la linea dettata da Obama, che per il momento prevede di trovare un’intesa sul combattere in maniera congiunta i terroristi; Kerry domenica ha parlato di situazione “difficile”, lo stesso temine usato quando un altro incontro, il 26 agosto a Ginevra, si è rivelato infruttuoso, anche se ha parlato della possibilità di trovare quell’intesa sul coordinamento della lotta la terrorismo.

CHI SONO I TERRORISTI?

Proprio sulla definizione di chi siano i terroristi sta una delle più grandi divisioni. La Russia è intervenuta massicciamente in Siria esattamente un anno fa per puntellare il regime di Bashar el Assad, mentre Washington ha dato sostegno in diversi modi alle forze rivoluzionarie che vorrebbero rovesciarlo. Ora i russi chiedono agli americani di garantire che quelle opposizioni siano “forze democratiche” e non colluse con le istanze islamiste più radicali, ossia che in realtà non siano tutti terroristi, come sostiene da sempre la narrativa di Assad: è effettivamente un passaggio complicato, perché, Stato islamico escluso, tutti gli altri gruppi combattenti hanno giocato sovrapposti su alcuni teatri (magari per combattersi in altri), molti sfruttando la forza militare delle formazioni più grandi, come per esempio l’ex qaedista al Nusra. Washington dal canto suo attacca sostenendo che Mosca non fa distinzione tra le varie fazioni combattenti, e colpisce con quello che è stato dichiarato come un intervento contro il terrorismo in Siria tutte le forze che si oppongono a Damasco: l’accusa è di perpetrare così un fine puramente politico a sostegno del regime e non di combattere le derive jihadiste delle opposizioni. Un esempio: quando la scorsa settimana la Russia s’è intestata l’uccisione di Abu Mohammed al Adnani, il potentissimo leader califfale che dirigeva tutte le operazioni segrete, il portavoce del Pentagono Peter Cook ha dichiarato che “non ci sono informazioni per sostenere la pretesa russa, non hanno dedicato molti sforzi alla caccia dei capi dello Stato islamico e non usano armi di precisione”.

L’ANATRA ZOPPA E IL GIOCO RUSSO

Ufficialmente non sono stati descritti i punti di dissonanza tra i Paesi, anche se alcuni funzionari hanno rivelato al Washington Post che oltre alle visioni generali, ci sarebbero dissensi anche su aspetti più puntuali e tecnici, come per esempio la gestione delle tregue nelle zone di combattimento per garantire l’ingresso degli aiuti umanitari, Aleppo è l’esempio. Questo delle tregue locali da poter poi ampliare è un piano datato e pensato dalle Nazioni Unite. Per il presidente americano è stato l’ultimo G20, tra pochi mesi lascerà la politica, e questo pesa nelle relazioni e negli accordi che potrà intavolare – “anatra zoppa” chiamano gli americani i presidenti a fine mandato e dunque con le mani legate. L’inviato in Cina del New York Times Mark Lander ha scritto che Obama è ancora un interlocutore centrale per tutte le questioni globali, tuttavia “c’era un senso palpabile sul suo viaggio in Asia”, sembrava “che il mondo fosse in attesa di un nuovo presidente per rivedere le politiche americane in Siria” e in altri dossier. Lo scetticismo di Obama sull’intesa con la Russia non è però solo stanchezza e scadenza a breve: a febbraio i due paesi avevano trovato un’intesa per un cessate il fuoco temporaneo che avrebbe dovuto fare da apripista a intese più larghe. La tregua è durata qualche settimana, tra violazioni continue, per poi essere definitivamente squarciata ad aprile con l’infiammarsi di una nuova battaglia intorno ad Aleppo; da qui la sfiducia, oltre che tutti gli altri dossier, ossia gli attacchi hacker russi in America, la crisi in Ucraina, per citare i più famosi. In questi giorni la guerra sulla seconda città siriana è ripresa: a inizio mese i ribelli hanno rotto l’assedio che stringeva le aree occupate, un game changer momentaneo per questa partita tattica e strategica che potrebbe valere il futuro della Siria. Ora i governativi sono di nuovo all’attacco, hanno ripreso posizioni chiudendo il cosiddetto corridoio Ramouseh per circondare le aree controllate dai ribelli. “Siamo daccapo in una situazione in cui il regime di Assad bombarda con impunità, è una dinamica molto pericolosa” ha detto Obama lunedì in conferenza stampa. L’azione è coperta dai russi, che oltre alle operazioni aeree sembra abbiano mandato consulenti speciali a terra, e dunque c’è un’implicita accusa nelle parole del presidente americano. Secondo alcuni analisti il motivo per cui Mosca sta rallentando i colloqui è anche la situazione di Aleppo: vuole aspettare che i lealisti riescano a riprendere quanto più territorio possibile, per poter negoziare da una posizione di forza. Nel frattempo, lunedì, lo Stato islamico ha ucciso una quarantina di persone in diversi chek point governativi, a Homs, Hasakah e pure a Tartus, sede della base di appoggio navale russa.

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