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Ecco come Isis ha rivendicato la strage al Reina di Istanbul

Lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato di Istanbul della notte di Capodanno: “In prosecuzione delle operazioni benedette che l’ISIS svolge contro il protettore della Croce, la Turchia, un coraggioso soldato del califfato ha attaccato uno dei locali notturni più popolari mentre i cristiani festeggiavano le loro vacanze”, si legge nel testo diffuso via Twitter con uno statement ufficiale del Califfato. È la prima volta che questo avviene con obiettivo dichiarato la Turchia, se si considera che un attentato rivendicato a novembre a Diyarbakir (sud turco) aveva avuto come target i curdi e soprattutto era stato rivendicato dalla sedicente agenzia stampa Amaq News.

Ancora: “Il governo apostata della Turchia dovrebbe sapere che per il sangue dei musulmani che vengono uccisi da aerei e artiglieria turchi sarà dato fuoco all’interno del loro paese”. Il riferimento va all’operazione turca Scudo dell’Eufrate, con cui Ankara ha avviato una campagna di ripulitura del confine curdo-siriano dalla presenza dello Stato islamico. In questo momento la battaglia si è concentrata intorno ad Al Bab, una delle roccaforti siriane del Califfato: i turchi, che nelle operazioni si stanno appoggiando ad alcune fazioni ribelli amiche, stanno incontrando difficoltà. E come sempre accade nella guerra all’IS, il fronte si sdoppia: alla guerra convenzionale contro la realtà statuale del Califfato, si somma il contrasto asimmetrico alla componente terroristica del gruppo.

Secondo la ultime, poche, informazioni diffuse dalla polizia turca, sarebbe un uzbeko l’attentatore che a Capodanno ha colpito nella discoteca Reina di Istanbul sparando sulla folla e uccidendo 39 persone. Le autorità di Ankara sarebbero arrivate a lui attraverso ai collegamenti con una cellula dello Stato islamico composta da uomini dell’Asia Centrale che hanno già in passato colpito il paese all’aeroporto Ataturk di Istanbul. Era la fine di giugno, i terroristi con l’azione riuscirono ad offuscare l’appena avviato processo di riavvicinamento tra Russia e Turchia: ora, a distanza di sei mesi, un’altra azione terroristica scandisce un altro passaggio importante nelle rinnovate relazioni Mosca-Ankara. I due paesi hanno infatti firmato insieme un cessate il fuoco che ha messo in tregua i fronti interni del conflitto siriano, posto le basi per una road map del processo di pacificazione politica, e lasciato aperta la lotta allo Stato islamico. Una lotta che inizia a procedere anche in coordinamento: dopo alcuni annunci turchi della scorsa settimana, poi smentiti dal governo di Mosca, è stato il media statale Sputnik a parlare di bombardamenti russi che hanno fatto da copertura aerea all’Operazione Scudo turca su Al Bab – dove un mix tra soldati regolari e paramilitari raccolti tra ribelli siriani sta conducendo una campagna di terra contro l’Isis al nord siriano. A questa iniziativa, avviata ufficialmente il 24 agosto, lo Stato islamico risponde lanciando in Turchia attentatori che provengono da aree di influenza russa.

L’azione di Capodanno è significativa anche perché ha colpito uno dei simboli della Turchia secolarizzata e occidentalizzata, e lo ha fatto durante un evento di festa, laica e globale. Un obiettivo perfetto per i baghdadisti, che colpiscono insieme la sicurezza interna in Turchia, fiaccata dalle purghe post-golpe, e la sua proiezione nel mondo (e una delle sue più importanti risorse: il turismo): allo stesso tempo sotto il fuoco del mitra dell’attentatore cadono musulmani che hanno “osato” festeggiare un evento “impuro”, e questa è come una sottolineatura ulteriore contro le politiche del presidente Recep Tayyp Erdogan, che ha cercato di costruirsi ed accreditarsi come riferimento dell’Islam sunnita e quello delle primavere rivoluzionarie della Fratellanza, ma per la visione fanatica del Califfo lo ha fatto stringendo troppe mani in Occidente e figurarsi ora che gli accordi con la Russia significano porsi su una asse inclinato verso lo sciismo; ciliegina sulla torta, il maggior numero di vittime straniere è di origine saudita, figli dei Suad che ballavano in un discoteca in Turchia, miele per la predicazione califfale, che mette insieme i due più odiati nemici, simboli per i baghdadisti di un Islam violentato dall’Occidente. Le tensioni create dal contrasto alle attività dell’IS si sommano inoltre a un substrato critico interno. Segnala la giornalista esperta di Turchia Marta Ottaviani che da settimane i sermoni dei predicatori turchi invitano a boicottare il Capodanno perché festa impura: venerdì, il giorno prima dell’attentato, la Diyanet (l’istituzione statale per gli affari religiosi) si era esposta sul tema, parlando del Capodanno come evento non musulmano.

Un clima estremizzato in cui si sovrappone il contesto sociale radicalizzato con le rivendicazioni politico-ideologiche contro le azioni del governo turco. In una situazione del genere, con l’enorme radicazione dei network jihadisti per il paese (sfruttato dai gruppi, non solo l’IS, per i traffici di rifornimenti e uomini), è relativamente facile muoversi e trovare appoggio per un terrorista che intende passare all’azione.

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