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Scommesse centriste

Costruire un nuovo partito di governo per l’Italia della Terza repubblica: è questa la terza grande scommessa politica che l’Unione di centro ha lanciato negli ultimi anni.
 
Nel 2008 siamo stati i primi (ma forse comunque in ritardo rispetto alle urgenze della storia nazionale!) a denunciare il fallimento sistemico del bipolarismo. Sì, quel bipolarismo che era stato presentato come l’anticamera di una moderna democrazia occidentale, che doveva finalmente portarci a Parigi, Berlino e Washington (ci abbiamo creduto in tanti!) e invece ci ha fatto risvegliare a Beirut. Invettive anticomuniste, fantasmi antifascisti, berlusconismo e antiberlusconismo: il “morto ha afferrato il vivo”, il passato ha vinto sul futuro. Il bipolarismo all’italiana si è rivelato come la forma politica di una nuova guerra civile ideologica. C’è voluto qualche anno perché tutti si accorgessero dei danni provocati dall’assetto bipolare. E ci dessero ragione.
 
A due anni di distanza, la seconda scommessa. Chiedemmo, all’inizio ignorati dagli altri partiti, un governo di responsabilità nazionale. All’epoca avrebbe ancora potuto essere Berlusconi ad assumere l’iniziativa. Niente da fare. Al massimo si tentò di blandirci con proposte di ingresso nel governo che rivelavano cecità e meschinerie. Ebbene, un anno e mezzo dopo, i due grandi nemici bipolari hanno dovuto capitolare e accettare la ricetta dell’Udc, dando vita al governo Monti – al quale dobbiamo il recupero in extremis della nostra credibilità internazionale.
 
Si è trattato di due grandi scommesse politiche, non di esercitazioni tattiche o di furberie. È stata la rivincita della vera politica, “sequestrata” nella Seconda repubblica prima ancora che dalle piazze, dallo stesso Palazzo. L’antipolitica di Stato della Seconda repubblica ha rovesciato tutti i valori fondamentali dell’agire pubblico: l’interesse nazionale è diventato interesse di oligarchie, la moralità pubblica utilità privata, l’avversario un nemico da demonizzare, il bene comune una specie di bestemmia. Si è perciò dovuti arrivare a celebrare un paradosso che non ha cittadinanza in nessuna grande democrazia: la distinzione tra tecnici e politici.
 
I partiti della Prima repubblica, con tutti i loro limiti, non conoscevano questa schizofrenia, perché al loro interno vi è sempre stata una contaminazione di professionalità politica e competenza tecnica. I non-partiti di oggi sono invece tribù leaderistiche staccate dal territorio e prive di qualsiasi prospettiva oltre il breve termine; ciò ha portato ad un prosciugamento delle competenze tecniche, creando una dicotomia artificiosa con la politica che dobbiamo sanare assolutamente. Ecco perché abbiamo ora lanciato la nostra terza grande scommessa: quella di un nuovo soggetto politico dei moderati e dei riformisti che si candidi a ricostruire il Paese e la politica e a governare l’Italia. Tecnici e politici di nuovo insieme. È per questo, non per un’effimera “caccia al nome”, che abbiamo immaginato possibili adesioni al nostro progetto da parte di esponenti del governo Monti.
 
La politica sequestrata dalla Seconda repubblica dovrà tornare al centro, in tutti i sensi, perché è proprio il centro il luogo dove l’equilibrio istituzionale e l’attenzione all’interesse generale non è mai mancato. Il Terzo polo è stato decisivo per far cadere il governo Berlusconi e dar vita all’esecutivo di responsabilità nazionale: ma non può bastare oggi che si tratta di andare oltre tutte le esperienze fin qui consolidate. Del resto, siamo stati i primi ad azzerare i nostri vertici. Ora dobbiamo incamminarci verso il futuro.
 
Pietra angolare di questo progetto sarà la costruzione di una progettualità comune per credenti e non credenti. Bisogna andare oltre la fase del semplice “dialogo” sulla quale si sono arenati sia i tentativi del Pd che quelli del Pdl: il primo, concorde sui temi sociali ma spaccato sui nuovi temi antropologici della biopolitica, il secondo capace (fino a un certo punto) di trovare un accordo sulla materia antropologica, ma troppo liberista in campo sociale. Andare oltre “il dialogo” vuol dire porsi con molta più ambizione l’obiettivo di creare una casa comune, non inquinata dalle divisioni sui temi antropologici e sui temi sociali, dove credenti e non credenti possono convivere, senza cadere in divisioni insanabili, all’interno di un quadro filosofico coerente, ispirato alle correnti vive del liberalismo europeo ed anglosassone.
 
Ci sono due stelle polari da seguire: la prima è l’economia sociale di mercato, in cui il ruolo attivo del mercato è sempre orientato alla promozione umana. La seconda è il primato della legge naturale nella regolazione del rapporto tra vita e Stato. Sarà un’impresa non facile perché sulla biopolitica il quadro valoriale comune, che pure c’è da San Tommaso a Locke, non è mai stato oggetto di una lettura diffusa, a differenza di quanto accaduto per l’economia sociale di mercato. Ma è un’impresa possibile e comunque indispensabile.
Nessuno, nel 2008, ci aveva garantito che la nostra sfida avrebbe vinto e che potessimo tornare in Parlamento. Nessuno, nel 2010, ci avrebbe garantito che sarebbe nato il governo Monti.
 
Così, oggi, lanciando la nostra terza grande scommessa, sappiamo di assumerci un nuovo rischio. Quello che sappiamo è che il “cantiere dei moderati” non può caratterizzarsi come il mero incontro di nomenklature. Non è con una qualche combinazione di sigle che potremmo vincere la partita del 2013. L’azzeramento dei nostri vertici ha voluto invitare tutti ad andare oltre questa dinamica politica. Ora speriamo che tanti altri, cittadini e classe dirigente, si uniscano al cantiere superando sigle, tic, preclusioni personali e di gruppo. In una parola, che tutti sappiano buttare il cuore oltre l’ostacolo. Il fatto che il centro sia il luogo più idoneo a preparare il futuro non è l’ossessione di élites affezionate al passato.
 
Al contrario, è l’esito reale delle vicende politiche della Seconda repubblica. Destra e sinistra hanno sempre agito con la testa rivolta al passato. Le scommesse del centro, invece, stanno aprendo nuovi orizzonti. Oltre la crisi economica, oltre la decadenza politica.
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