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Cara Europa, è l’ora di spendere di più (e meglio) nella difesa

Non c’è niente da fare, sulla difesa bisogna fare di più. E non solo perché lo ha chiesto tempo fa il presidente americano Donald Trump, quando ha invitato le nazioni della Nato ad aumentare la quota di Pil destinata alla spesa militare. Molto più semplicemente, aumentano i teatri e gli scacchieri globali in cui è richiesto un impegno delle forze armate.

L’Europa non può e non deve farsi trovare impreparata, pena l’essere tagliata fuori dalle grandi questioni ma soprattutto vedersi mettere in ginocchio la sua industria. S’impone dunque uno sforzo, ribadito ieri pomeriggio davanti alle commissioni difesa di Camera e Senato da Fincantieri e Aiad, l’associazione delle imprese del settore. Proprio nel giorno in cui Francia e Italia hanno deciso di serrare i ranghi (qui l’articolo di Formiche.net con tutti i dettagli) nel percorso di alleanza militare tra la transalpina Naval e il gruppo di Trieste guidato da Giuseppe Bono (nella foto).

Il punto di partenza è il Fondo europeoo per la difesa, il pozzo che nella logica europea dovrebbe raggiungere i 13 miliardi di dotazione entro il 2027. Soldi, conferiti dagli stessi Stati membri con cui finanziare i migliori progetti vincitori di apposite gare indette dalla stessa Unione. Per l’Europa si tratta di un’opportunità preziosa, attraverso la quale mettere a fattor comune le migliori competenze dei singoli Paesi. Ma soprattutto uno stratagemma per sopperire agli scarsi investimenti in difesa dei governi europei (in media l’1,3% del Pil, contro un obiettivo Nato fissato al 2%). Secondo Bono si tratta di una strada obbligata e il perché è presto detto.

“Quando parliamo di Mediterraneo, parliamo di un Mediterraneo allargato al Golfo Persico ed all’Africa occidentale. Uno scenario geopolitico in cui l’Italia ha forti chance, per la sua posizione, e in cui la componente navale, il mare diventano fondamentali. Come Paese, dovremmo scegliere quello che vogliamo fare per contare”, ha spiegato Bono.

“L’Europa sta tentando di darsi una strategia comune, con la politica estera e ora sembra che ci stiamo avviando verso una politica comune anche per quanto riguarda la difesa. Lo scenario geopolitico che ho indicato non è dei più pacifici in questo momento, e non lo è stato in passato: ecco perché vediamo con estremo favore il tentativo di creare, a livello continentale, una politica comune di sicurezza”.

Fatta questa premessa il manager ha poi affondato la lama sugli scarsi budget europei destinati alla difesa. “L’Europa, che per anni è stata sotto l’ombrello degli Stati Uniti, adesso deve spendere molto di più, e meglio, per la difesa rispetto al passato, perchè questa industria non può essere vista solo come qualcosa che produce armi per fare la guerra, ma come un motore dello sviluppo con ricadute tecnologiche notevoli, come dimostra la nascita di Internet avvenuta grazie alla Nasa”. In questo senso il ceo di Fincantieri ha portato l’esempio della cantieristica dove ogni euro investito si traduce i 4,5 euro di valore aggiunto sul territorio.

Di incremento della spesa militare ha parlato anche Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad. Il quale ha però in prima battuta spostato l’attenzione sulle possibili ricadute per l’industria nazionale dall’avvio del Fondo Ue. In effetti non è la prima volta che dall’associazione di categoria si levano preoccupazioni sulla questione del Fondo. Pochi mesi fa era stato lo stesso presidente Aiad Guido Crosetto, in un’altra audizione (qui l’articolo) a paventare rischi per le medie imprese che poi sono il grosso della categoria rappresentata dall’Aiad nonché parte principale dell’indotto.

“Prima o poi arriveremo a una difesa europea, è inevitabile. Ma attenzione. Se gli Stati si mettono d’accordo e decidere di perdere un pezzetto di sovranità per la difesa Ue allora lo dovranno fare in coda anche le aziende del settore. E questo comporterà che alcune industrie saranno aggregate, altre inevitabilmente aggregheranno con alcuni cambiamenti nell’attuale assetto”. Il timore delle aziende tricolori è in buona sostanza che la creazione di una Difesa europea possa tagliare di fatto fuori dal mercato le imprese italiane.

Sul fronte della spesa, l’Aiad condivide la visione di Fincantieri, spostandola però su scala nazionale. “Francia e Germania hanno deciso di fare un aereo europeo. Se noi per esempio non avessimo la possibilità di partecipare alla gara, la nostra industria morirebbe. Il problema oggi è che bisogna aumentare i fondi per le imprese italiane della difesa per permetterle di partecipare un domani ai programmi europei scaturiti dal fondo. Altrimenti noi, come aziende, siamo fuori”.

 

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