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Cosa ci hanno chiesto Stati Uniti e Russia su sanzioni e Huawei. Parla Picchi

identità, potere

Si chiude con una ministeriale di due giorni a Milano la presidenza annuale italiana dell’Osce. Dal suo avvio il summit, che vede la partecipazione di ben 57 delegazioni con i relativi ministri degli Esteri, è stato dominato dalla crisi fra Russia e Ucraina nel Mar d’Azov. Sullo sfondo il caso internazionale dell’arresto in Canada di Meng Wanzhou, la numero due della cinese Huawei, che getta altra benzina sul fuoco nei rapporti fra Washington e Mosca (“È inaccettabile” ha tuonato a Milano il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov). E poi le richieste degli americani ai Paesi europei, Italia in testa, di votare le sanzioni contro la Russia al Consiglio Europeo del 13-14 dicembre. L’Italia ha un piano d’azione? Formiche.net lo ha chiesto a Guglielmo Picchi, sottosegretario di Stato agli Esteri, già consigliere di Matteo Salvini per la politica estera. Da Milano ci racconta del suo incontro con il vicesegretario di Stato Usa Wess Mitchell. E il faccia a faccia con Lavrov, che dimostra ancora una volta come Mosca veda nel Carroccio un interlocutore privilegiato.

Picchi, un primo bilancio di questa ministeriale?

La ministeriale è ancora in corso assieme alle negoziazioni sui documenti che l’Italia ha prodotto. Attualmente la plenaria è aggiornata in attesa dei testi da approvare con il consensus, cioè con l’ok di tutte e 57 le delegazioni. Per il momento abbiamo riscosso due successi politici: abbiamo scelto la troika per la presidenza dei prossimi anni, compresa quella albanese nel 2020, e abbiamo riaffermato con una dichiarazione congiunta di Moavero e degli altri ministri degli Esteri il modulo 5+2 per trovare una soluzione positiva al conflitto fra Armenia e Azerbaijan. Non era scontato, in un momento in cui l’Osce deve fare i conti con i veti incrociati.

Ieri ha avuto un incontro con Sergei Lavrov. Come si pone l’Italia sulla crisi fra Russia e Ucraina nel Mar d’Azov?

Con Lavrov abbiamo un rapporto particolare, lo avevo già incontrato alle ministeriali di Vienna e Amburgo, questo era il primo faccia a faccia come sottosegretario agli Esteri. L’Italia è impegnata per risolvere la crisi, Moavero ha incontrato il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin. Parlare di una vera e propria mediazione sarebbe esagerato, diciamo che ci siamo attivati per trovare una soluzione positiva dall’alto della nostra presidenza Osce, che è presente con una sua missione in Ucraina. Abbiamo buone relazioni sia con Kiev che con Mosca e stiamo dando una mano. Oggi è stato parzialmente riaperto al traffico commerciale lo stretto di Kerch.

Cosa le ha detto invece il vicesegretario di Stato Wess Mitchell?

Quella con Mitchell era una visita di lavoro dovuta, dopo l’incontro fra Conte e Trump serviva un dialogo più operativo. Ci hanno riferito le loro aspettative sulla ministeriale e abbiamo discusso sui dossier che ci legano, dal Mediterraneo alle migrazioni fino al terrorismo. Gli Stati Uniti danno molta importanza alla stabilità del fronte Sud. Lo considerano strategico, da parte nostra abbiamo sempre mostrato un atteggiamento costruttivo, a differenza di altri partner europei.

Eppure un mese fa ha fatto rumore la modesta partecipazione americana alla conferenza di Palermo sulla Libia. Qual è il suo bilancio?

È stato un momento importante per i Paesi del Mediterraneo, Conte e Moavero hanno fatto un ottimo lavoro, la visita di Haftar ieri a Roma ne è la conferma. Lo abbiamo sempre detto: non ci si poteva aspettare che dalla conferenza di Palermo uscisse una soluzione definitiva, la Libia è un Paese lacerato da guerra civile e lotte tribali, non basta la bacchetta magica di Francia e Italia.

A proposito di Mediterraneo, condivide l’annuncio di Roberto Fico di interrompere i rapporti fra parlamento italiano e quello egiziano?

Sono rimasto molto sorpreso dall’uscita di Fico. Sarò estremamente chiaro. Non ho ancora avuto la possibilità di incontrare la famiglia Regeni, le sono molto vicino per quello che è avvenuto e per il modo in cui è avvenuto, e ribadisco la ferma condanna di questo crimine. Sono a favore di tutte le possibili pressioni politiche sul Cairo, non credo che interrompere il dialogo sia il metodo migliore per arrivare alla degna conclusione per la famiglia, ovvero all’identificazione dei colpevoli.

Come bisogna muoversi?

Questo è il momento di essere politicamente più presenti, se ritiri l’ambasciatore dal Cairo perdi il perno del dialogo e non sai più con chi parlare. Io vorrei che ogni settimana ci fosse una nostra delegazione parlamentare o governativa a chiedere, anzi a pretendere la verità. Fico non ha idea di quanto io sia rigoroso su questa linea, ma la sua uscita è incomprensibile e ha fatto un danno a Regeni ben più grande del beneficio che voleva produrre.

Alla ministeriale Osce gli americani sono tornati a parlare di sanzioni europee contro Mosca. La vostra posizione rimane invariata?

La posizione generale è quella che abbiamo sempre ribadito: gli accordi di Minsk devono essere rispettati da entrambe le parti, serve più flessibilità russa sui marinai ucraini. Gli Stati Uniti ci hanno ribadito che vogliono l’unità europea sulle sanzioni. Abbiamo registrato questa richiesta.

Il presidente Conte dovrà passare dalle parole ai fatti durante il Consiglio Europeo del 13-14 dicembre. L’Italia metterà il veto?

Non mi aspetto novità di sostanza su quel fronte. L’Italia non può rompere l’unità europea in questa fase, mancano le condizioni ma soprattutto la volontà politica.

C’è stato modo di parlare con la delegazione americana del caso Huawei? Da tempo gli Stati Uniti segnalano all’Italia i rischi, eppure non ci sono stati significativi passi indietro.

Le notizie che ci sono giunte dal Canada hanno messo il governo in azione. È necessaria una profonda riflessione sulla sicurezza delle nostre infrastrutture critiche. La nostra posizione non è di condanna preventiva, ma di un monitoraggio che ora entra nel vivo. Non possiamo tollerare anomalie nella gestione dei dati dei cittadini e delle aziende italiane, né tantomeno l’interferenza di una potenza straniera, qualunque essa sia, nel nostro sistema Paese.

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