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Il Qatar vuole sfruttare la Fifa per sbloccare la crisi del Golfo?

Secondo un’inchiesta del Sunday Times, il Qatar avrebbe pagato 400 milioni di dollari alla Fifa appena 21 giorni prima che i Mondiali del 2022 venissero assegnati (la World Cup del 2022 sarà appunto ospitata dall’emirato, e la questione è già stata al centro di molte polemiche legate alle violazioni dei diritti umani contro i lavoratori che stanno preparando le infrastrutture; nonché di indagini per corruzione e pressioni esercitate da Doha per ottenere l’incarico, chiuse comunque senza rilevare cattive condotte).

Secondo i documenti leaked arrivati al giornale inglese (che lascia per la domenica gli scoop più grossi, e questo era in testa all’ultima edizione), Al Jazeera – emittente sotto controllo e proprietà dell’emiro qatarino Hamad bin Khalifa Al Thani – ha firmato un contratto televisivo per l’enorme offerta, ma pare che l’accordo includesse un bonus “senza precedenti”, pari a 100 milioni, che sarebbe stato pagato alla Fifa solo se il Qatar avesse avuto successo nell’assegnazione.

Quei soldi la Fifa li dovrebbe ricevere il prossimo mese, stando al contratto visto dal Times, che aggiunge che però la procedura è stata messa sotto inchiesta dalle autorità svizzere (la Fédération Internationale de Football Association ha sede a Zurigo) che ci hanno sentito puzza di corruzione. C’è il rischio di un’evidente violazione delle regole. Quei 100 milioni potrebbero essere il simbolo granitico dei rumors velenosi che girano da tempo: il Qatar s’è comprato l’assegnazione dei Mondiali.

Il peso politico e geopolitico della più importante delle competizioni calcistiche d’altronde è noto, per non parlare dei ritorni economici, che forse per il Qatar hanno un valore secondario. Così come è noto il valore geopolitico del calcio. Sul Foglio del 17 novembre 2017 il concetto era spiegato perfettamente in un’intervista fatta da Roberto Arditti a Luigi De Siervo, ex amministratore di Infront Italy, filiale di Infront Sports & Media, società di Zug (in Svizzera) dove il key people è Philippe Blatter (cognome che suona comune nel mondo del calcio, e infatti suo zio Sepp è stato per otto anni il presidente della Fifa, poi costretto  lasciare per uno scandalo) e dove il principale apparentamento societario è con il cinese Wanda Group (colosso dei diritti televisivi e cinematografici che nel 2017 era 380esimo nella Fortune Global 500 List).

Quello che diceva De Siervo – che ai tempi dell’intervista guidava la società con in mano i diritti della Seria A, mentre ora è l’amministratore delegato della Lega – è utile per dare una dimensione della storia che si sta sviluppando attorno a Qatar 2022: “Se non inquadriamo nel modo corretto l’acquisto di Neymar e Mbappé (agosto 2017, ndr) da parte del Paris Saint-Germain vuol dire che non abbiamo capito niente di quello che sta accadendo nel mondo del calcio, dove si gioca una partita che va al di là, ma molto al di là, del campo da gioco”.

Neymar da Silva Santos Júnior e Kylian Mbappé sono due stelle del calcio globale che i parigini hanno acquistato con un esborso record da 400 milioni di euro: per presentare il primo s’è mosso Nasser Ghanim Al-Khelaifi, che è sia il presidente del PSG che di beIN Media Group, altro colosso dei diritti televisivi con canali sportivi di proprietà in moltissimi paesi del mondo (Francia, Spagna, Usa, Indonesia, Hong Kong, Australia, Canada, Brasile etc), ma soprattutto è stato l’ex presidente del QSi Fund, il Qatar Sport investiment Fund, che nel giugno del 2011 ha portato l’asset finanziario di Doha a comprare il club francese (e non solo: il QSi è sponsor del Barcellona, per esempio, dove giocava Neymar).

L’acquisto dei due giocatori è sempre stato indicato come un’operazione simpatia, una sorta di mossa di soft power con cui il Qatar, via PSG, cercava di recuperare terreno in un momento critico: nel giugno del 2017, infatti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, e poi altri paesi, avevano tagliato tutte le relazioni con Doha, accusato di alimentare il terrorismo (in realtà come motivazione ufficiosa c’erano anche le relazioni troppo morbide che i qatarini intratteneva con l’Iran, nemico esistenziale dei regni sunniti del Golfo, ma necessariamente partner per il Qatar che ci condivide il più grande giacimento di gas naturale del mondo, il South Pars/North Dome).

C’è un secondo passaggio che va letto in quest’ottica collegato a quel bonus da 100 milioni che Doha dovrebbe pagare alla Fifa. La scorsa settimana, l’Associated Press ha raccontato per prima che sul tavolo del consiglio esecutivo della Fifa è arrivato uno studio, atteso, che raccomanderebbe l’aumento a 48 delle squadre partecipanti ai Mondiali. L’affare porterebbe 335 milioni di dollari in più di revenue, e coinvolgerebbe altri 16 paesi alla competizione. E la modifica potrebbe essere anche apportata in corso, iniziando da Qatar 2022.

L’emirato non ha la capacità logistica per ospitare tutte le 80 gare previste (altrimenti sarebbero state 64, da giocare già non senza problematiche, strette in un fazzoletto di terra di circa 40 chilometri quadrati in cui sono stati creati gli otto stadi qatarini). Per questo è lo stesso dossier Fifa a consigliare che vengano coinvolti da “due a quattro” paesi vicini.

Ma qui sta l’inghippo geopolitico, o forse qui sta l’operazione qatarina. I confinanti come Arabia Saudita, UAE e Bahrein sono impegnati nel blocco delle relazioni, ma la Fifa è chiara su questo: “Il coinvolgimento di tali paesi nell’organizzazione di un torneo co-ospitato con il Qatar richiederebbe la rimozione di tale blocco, in particolare la revoca di tutte le restrizioni relative al movimento di persone e merci tra questi paesi”.

Al di là della possibilità di coinvolgere paesi neutrali sulla contesa, come Kuwait e Oman, una lettura velenosa del report, da sommare alla vicenda dei diritti televisivi e a quei 100 misteriosi milioni, farebbe pensare che Doha abbia cercato di lavorare con la Fifa per utilizzare il calcio e il peso geopolitico dei Mondiali come vettore con cui sbloccare la situazione nella crisi del boicottaggio del Golfo.

Altro passaggio esplicito del dossier in cui l’organizzazione sportiva si spinge sul piano della politica: “I co-proprietari candidati dovrebbero essere considerati sufficientemente cooperativi […] Questi co-organizzatori non sanzionano o boicottano economicamente o in altro modo qualsiasi altro potenziale paese ospitante”.

Difficilmente Arabia Saudita, UAE e Bahrein, paesi confinanti col Qatar che potrebbero essere interessati all’allargamento, accetteranno le condizioni imposte dalla Fifa. Sul piatto la possibilità di fare da junior partner dei Mondiali – come indicato esplicitamente dal dossier, dove Doha viene indicata come la titolare della sede del torneo – in cambio di una riqualificazione del Qatar, che uscirebbe dalla contesa come vittorioso (ottenendo l’eliminazione del blocco, concedendo briciole dei Mondiali).

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