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Libia in stallo, serve un nuovo approccio (anche per l’Onu). Parla Varvelli

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Le milizie della Tripolitania che si oppongono all’aggressione lanciata contro Tripoli dal signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, hanno lanciato una controffensiva su tutti i fronti aperti nella fascia meridionale dell’hinterland della capitale. Un’operazione simultanea che ha visto anche la copertura aerea da parte dei bombardieri di Misurata – città-stato che protegge il Governo di accordo nazionale promosso dall’Onu e insediato a Tripoli. Gli attacchi aerei si sono concentrati soprattutto sulla collina di Gharian, che è il centro logistico dove affluiscono i rifornimenti inviati alla milizia haftariana Lna dai comandi dell’Est.

IL CESSATE IL FUOCO È LONTANO

“Il momento non sembra ancora propizio per un cessate il fuoco”, commenta Arturo Varvelli, Co-Head del centro con cui il think tank italiano Ispi analizza l’area mediorientale e nordafricana (MENA, secondo dottrina anglosassone). “Anzi – continua l’analista italiano, tra i principali esperti di Nordafrica in Europa, presente osservatore della crisi libica – le parti in lotta non hanno regolato i conti e neppure lo hanno fatto i padrini esterni”. La situazione sul campo è molto fluida, arretramenti e avanzamenti fanno sì che gli scontri non si fermino, anche perché ognuna della due fazioni in campo, gli anti-Haftar e i pro-Haftar, percepisce le debolezze dell’altra e pensa di poterle sfruttare per poter vincere la guerra.

IL PROBLEMA DEI RIFORNIMENTI E DEGLI ATTORI ESTERNI

In più, negli scorsi dieci giorni sono arrivate in Libia nuove armi, inviate ai due fronti dai reciproci sponsor esterni (Turchia per l’Ovest, Emirati Arabi per l’Est: ieri un drone emiratino Yabhon-HMD è stato abbattuto dagli anti-Haftar). Con i nuovi rifornimenti entrambi gli schieramenti si sono sentiti rinforzati e per questo non intendono arretrare. Attualmente, nessuna della due parti inoltre vede possibile sedersi al tavolo dei negoziati non riconoscendo un ruolo potabile all’altra. Piuttosto, grazie ai rinforzi e alle influenze esterne entrambe ritengono credibile la possibilità di una soluzione militare.

SITUAZIONE DELICATA

“La comunità internazionale – spiega Varvelli – si sta muovendo e alcuni degli attori in campo stanno anche rivedendo le proprie posizioni, almeno parzialmente. Lo ha fatto la Francia, per esempio, che sembra aver deciso per un sostegno più reale al Gna (è l’acronimo internazionalmente usate per il governo onusiano, affidato alla guida di Fayez Serraj. Ndr). Per lo meno i francesi non sembrano voler sostenere Haftar in una impresa militare senza successo. E anche la Russia è rimasta alla finestra, pronta a giocarsi le carte da mediatore”. Parigi e Mosca negli anni scorsi hanno sostenuto più o meno apertamente le operazioni dell’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica, ma con l’offensiva su Tripoli e la creazione di un delicatissimo caos che rischia di degenerare in una guerra civile hanno rivisto le proprie posizioni.

UN NUVO APPROCCIO

“Il fallimento del negoziato – secondo Varvelli – è avvenuto anche perché non si è mai risolta una notevole discrepanza tra rappresentanti politici e militari. Non può sfuggire che nel processo Onu le milizie che detengono il reale potere siano state solo marginalmente coinvolte, così come si sia discusso solo parzialmente della gestione dell’industria energetica e della redistribuzione dei proventi del petrolio”. Sembrerebbe necessario rivedere l’approccio complessivo alla crisi: ma come? “Al momento c’è uno scenario da ipotizzare in modo verosimile: passare da una fase gestita dall’Onu, con scarso successo, a una fase nella quale gli Stati che possono influire nel processo tornino protagonisti diretti del negoziato, anche aprendo prospettive di medio e lungo periodo e superando l’attuale stallo creato dal confronto Haftar-Serraj”.

IL RUOLO DEGLI USA

Due giorni fa, altri due esperti di Libia di fama internazionale – Hafed Al-Ghwel del Foreign Policy Institute (FPI) alla SIAS della Johns Hopkins University e Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative dell’Atlantic Council – hanno scritto un op-ed su The Hill, un quotidiano molto seguito tra i legislatori americani di Capitol Hill, in cui hanno chiesto agli Stati Uniti di intervenire come tutore di un ordine per la Libia, perché unico attore con l’autorità per convincere le due fazioni che fanno da sostegno esterno a togliere il proprio supporto alle milizie libiche, cessare il fuoco e stabilire, come sostiene anche Varvelli, una nuova road map iniziando col richiedere una no-fly zone Nato sulla Libia – garantita dagli Usa. Un’iniziativa di cui Formiche.net s’era fatto promotore appena iniziati i combattimenti.

 

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