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Fra India e Pakistan è crisi (per il Kashmir). Manenti (CeSI) spiega perché

Il governo indiano ha annunciato di aver abolito lo status di autonomia della regione contesa del Kashmir, e conseguentemente la volontà di governarla in modo più diretto da Nuova Delhi. Una mossa esplosiva, che potrebbe provocare scontri in un’area che è stata storicamente un punto di infiammabilità per il conflitto tra India e Pakistan.

È stato il ministro dell’Interno indiano,  Amit Shah, ad annunciare la decisione in parlamento, con il governo guidato dai nazionalisti indù del Bjp che ha approvato un decreto presidenziale che priva il Khasmir e il Jammu delle autonomie previste dalla costituzione con l’articolo 370, il quale finora ha garantito un largo livello di indipendenza ai due territori. L’articolo, cancellato dal decreto, è l’elemento profondo che ha attraversato la sovranità del Kashmir fin dagli anni Cinquanta – quando fu riannesso con il Jammu all’India, dopo la rinuncia coloniale britannica.

È sostanzialmente quello che permetteva alla provincia di preservare la propria cultura, fornendo autonomia su tutto escluso la politica estera e di difesa. Il Khasmir è infatti una regione a maggioranza musulmana inclusa nel centro globale dell’induismo. Da un paio di settimane l’India invia messaggi sul Kashmir, con un’escalation rapidissima vista in questi ultimi giorni. Partiti venerdì con l’invito generico ai turisti di lasciare rapidamente il paese per ragioni di sicurezza, c’è stato un aumento della presenza militare (in un’area tra le più militarizzate al mondo), e successivamente l’arresto di alcuni politici di rilievo con visioni  autonomiste; infine l’interruzione delle comunicazioni tra la provincia e il resto del paese. Fino alla dichiarazione sulla fine dell’indipendenza.

“La questione del Kashmir è sempre stata un punto importante per il partito Bjp del premier  Nerendra Modie dopo le ultime elezioni ha avuto una legittimazione politica per provare a prendere decisioni che nel mandato precedente erano rimaste in secondo piano. Negli ultimi mesi si è assistito a un’attenzione sempre maggiore dell’apparato governativo indiano sulle situazioni interne al Kashmir, che viene visto anche come un complicato Tallone di Achille davanti ai vicini pakistani”, spiega Francesca Manenti, Senior Analyst del CeSI, desk Asia e Pacifico.

Il governo  Modi ha presentato ai parlamentari una proposta di legge per dividere Jammu e Kashmir ed è “uno degli aspetti importanti”, spiega l’analista. “Il Ladakh, la parte orientale a maggioranza buddista, sarà separato e diventerà un tentativo pratico per vedere se la strada è percorribile anche per la parte restante del Jammu e Kashmir (ossia la valle di Srinagar, prevalentemente musulmana, dove oggi sono stati vietati dalle autorità gli assembramenti di più di quattro persone”. Perché? “Perché intanto a quei territorio è stato concessa la possibilità di mantenere un governo locale, ma di fatto è stato abolito l’elemento centrale, ossia l’esclusività kashmira sui lavori pubblici e sulla possibilità di acquistare proprietà terriere o immobiliari”. Cosa significa? “Significa che teoricamente si è aperta la strada ad un cambiamento dell’attuale composizione demografica”.

La dichiarazione di Shah è stata accolta da proteste e urla dai banchi delle opposizioni, ed è considerata un elemento di potenziale destabilizzazione a carattere più ampio perché nell’area ci sono due generi di sensibilità. La prima legata alle contese con il Pakistan, che vorrebbe amministrare il Kashmir (e per farlo rivendica le continuità religioso-culturali): diatribe che si sono tradotte in guerre e decine di episodi di scontri a bassa intensità. La seconda riguarda il terrorismo.

“Quel territorio – spiega Manenti – è un punto dolente tra potenze nucleari, ed è una questione molto delicata, perché da parte pachistana si chiede un referendum per risolvere la situazione kashmira. Ora la scelta dell’India potrebbe modificare gli equilibri demografici locali, potenzialmente spostando persone da altre parti del paese, tendenzialmente induisti, e,una volta cambiato volto al Kashmir, risultare determinante per un eventuale referendum. Ma Islamabad difficilmente accetterà la cosa”.

E questo potrebbe creare anche contraccolpi nella seconda sfera di instabilità, quella legata ai gruppi armati. “Dobbiamo tenere conto che negli ultimi anni si è assistito a una modificazione nei gruppi operativi all’interno della regione: se prima, negli anni Ottanta e Novanta, erano gruppi sostanzialmente di origine pakistana a portare avanti l’insorgenza contro l’India in Kashmir, ora si tratta di istanze autoctone. Sono le seconde generazioni, di cui non si può escludere un contatto osmotico con il background pakistano, ma i nuovi militanti sono più locali, e sono loro a considerarsi gli eredi della militanza, il cuore dell’insorgenza contro l’India”.



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