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Hong Kong come Tienanmen? La Cina traballa e da la colpa agli Usa. Italia non pervenuta

Per gli Stati Uniti il colpo basso con cui la Cina ha diffuso informazioni personali su una diplomatica americana del consolato di Hong Kong, rea di aver incontrato alcuni leader delle proteste, è stato un affronto. Dopo le rimostranza feroci di ieri, anche oggi (nella notte ora italiana) la portavoce del dipartimento di Stato è tornata sull’argomento.

“I resoconti dei media ufficiali cinesi sul nostro diplomatico a Hong Kong sono passati da irresponsabili a pericolosi. Questo deve finire. Le autorità cinesi lo sanno bene, il nostro personale consolare accreditato sta facendo il proprio lavoro, proprio come i diplomatici di ogni altro paese”, ha scritto su Twitter Morgan Ortagus. “I diplomatici stranieri negli Stati Uniti, compresi quelli cinesi, hanno libero accesso a tutti gli elementi della politica americana, della società civile, del mondo accademico e degli affari”, ha aggiunto: “La Cina ha una lunga storia di impegni infranti; è loro dovere in base alle Convenzioni di Vienna, di cui la Cina è parte, trattare i nostri diplomatici e funzionari consolari con il dovuto rispetto e prendere tutte le misure appropriate per prevenire qualsiasi attacco alla loro persona, libertà o dignità”.

I fatti: Julie Eadeh, capo dell’unità politica del consolato generale Usa a Hong Kong, qualche giorno fa ha incontrato alcuni esponenti del Demosisto, un’organizzazione politica che anima le proteste di queste settimane ed era dietro a quelle del 2014 – sostanzialmente basata su una piattaforma semplice: Pechino sta spingendo la cinesizzazione del Porto Profumato, noi invece chiediamo l’opposto, più democrazia. La chiacchierata di Eadeh, in luogo pubblico, rientra tra le normali attività di routine che un diplomatico fa soprattutto in queste condizioni di crisi per comprendere perimetro e situazioni (sarebbe strano, piuttosto, non interessarsi a quel che succede oppure far finta di niente, come hanno fatto per esempio alcuni esponenti politici italiani confinando il problema come una semplice questione di ordine pubblico, ndr).

Su Eadeh la Cina sta facendo un lavoro mediatico intenso: dopo che le immagini sono state diffuse da un quotidiano hongkonghese (probabilmente su imbeccata di qualcuno che monitora costantemente quel che succede nel paese), i media statali di Pechino le hanno riprese aggiungendo particolari personali sul conto della diplomatica. Insieme si sono diffuse sui social network una serie di informazioni laterali, alcune ingigantite e altre alterate, sul conto di Eadeh e sulle sue attività di contatto con i manifestanti (per esempio ai tempi del Maidan).

All’interno di questo pattern si inserisce anche la conferenza stampa organizzata a Roma dall’ambasciatore cinese in Italia, il quale ha parlato del ruolo americano come sobillatori delle proteste e ha mostrato ai giornalisti convocati la storia su Eadeh.

Washington aveva già usato toni durissimi contro il comportamento scorretto cinese, definendolo un atteggiamento da “regime criminale”, aspetto che però non ha fermato Pechino che piuttosto ha continuato a spingere sull’attività propagandistica. I cinesi cercano di fare pressioni a livello internazionale per ottenere condanne sulle proteste, che secondo il governo di Pechino hanno sempre più la forma della “rivoluzioni colorate”, mosse da “pochi violenti” – come li ha chiamati l’ambasciatore – con “attori che muovono fili da dietro le quinte”, mentre c’è “una maggioranza silenziosa” che chiederebbe un intervento forte per chiudere questi tre mesi di disordini.

Il Dragone è in difficoltà: questa hongkoghese è la più grande sfida che Xi Jinping si trova sul tavolo, perché il capo dello stato cinese deve dimostrare di poter mantenere forte l’appeal internazionale, ma allo stesso tempo non sembrare debole, perché parte di quell’appeal si lega anche alla sua politica tosta. Non ci sono opzione valide, escono “segnali di insicurezza e frustrazione” come fa notare l’inviato a Pechino del CorSera Guido Santevecchi, e l’azione militare riporterebbe la Cina indietro ai tempi tragici di Tienanmen.

In Italia, nulla. Complice anche la crisi, non una nota della Farnesina. Niente. Neppure di fronte allo show fatto dall’ambasciatore di Pechino a Roma. Ad esclusione meritoria delle deputate europee della Lega, Cinzia Bonfrisco e Susanna Ceccardi, la politica italiana si presenta distratta. E decisamente filocinese (sic!).

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