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Erdogan perde pezzi (e potere?). Davutoglu verso un nuovo partito

Defezioni turche. L’ex premier Davotoglu si dimette dal partito del presidente, seguendo l’ex presidente Gul. La cerchia attorno a Erdogan non è più così solida come in passato. Pesano i problemi economici, la guerra per gli F-35 e soprattutto alcune mosse apparentemente senza ratio del capo del governo. Così può nascere una valida (e moderata) alternativa?

ADDIO

Ahmet Davutoglu, ex premier e ministro degli esteri, ha rassegnato le sue dimissioni dal Partito giustizia e sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan. La decisione era nell’aria da tempo e non solo per via della seduta del consiglio disciplinare che avrebbe dovuto decidere circa la sua espulsione. L’autore del volume “Profondità strategica”, che ha di fatto cambiato la politica turca da nazionalista a profondamente neo-ottomana, ha precisato di aver fatto questa scelta per “evitare ai sostenitori dell’Akp l’imbarazzo di vedere il loro presidente espulso dal partito”.

Risalgono al 2016 le prime critiche a Erdogan, reo di aver mutato pelle e modus operandi, come dimostrano poi i successivi risultati: si vedano le elezioni amministrative del marzo scorso. Ma andando a ritroso anche lo scandalo corruzione del 2013 che falcidiò i più stretti collaboratori di Erdogan.

CRISI

L’addio di Davotoglu segna una cesura significativa nella storia politica dell’erdoganesimo, dal momento che non si tratta del passo indietro di uno yes man o di un soldato semplice, bensì di chi sin dai primi anni ha incarnato il dogma dei desiderata di Erdogan. Salvo poi accorgersi che qualcosa si era rotto nell’uomo, prima che nel politico.

Davotoglu ha affermato che l’AKP è finito nelle mani di uno strettissimo inner circle, che ha deciso di abbandonare i suoi principi fondatori, aggiungendo che non c’era più alcuna possibilità di innescare un cambiamento all’interno della governance. Passo indietro anche per Ayhan Sefer Üstün, ex capo della Commissione parlamentare per i diritti umani, Abdullah Başçı ex deputato di Istanbul, e Selçuk Özdağ, ex vicepresidente hanno anche rassegnato le dimissioni dall’AKP.

LEADERSHIP

Alcuni dei motivi che hanno portato alla rottura sono anche da ricercare negli atteggiamenti di Erdogan. La costruzione di un palazzo presidenziale da duemila stanze dopo le cure chemioterapiche, l’acquisto di un Air Force dal golfo per non sentirsi da meno rispetto al Presidente americano, la politica estera sempre più all’insegna della provocazione, le nuove alleanze a oriente che cozzano con le intenzioni europeiste di tre lustri fa.

E ha aggiunto: “Vorremmo stabilire un nuovo ordine democratico basato sullo stato di diritto, la trasparenza, la competenza, la libertà, e anche su un’economia libera con una vera concorrenza e aperta al mondo. Invitiamo tutti coloro che si sentono responsabili in questo senso comune a riunirsi e lavorare insieme”. Musica per le orecchie occidentali.

SCENARI

È di tutta evidenza come la possibile nascita di un partito guidato da Davotoglu sia un elemento di assoluta novità nel dossier turco, specie in rapporto al capitolo delle alleanze e delle influenze. Un altro dissidente, l’ex vice primo ministro Ali Babacan, si è dimesso dal partito a luglio per costituire il proprio gruppo, in netto contrasto con le policies di Erdogan. Nelle sue prime osservazioni pubbliche dopo le dimissioni, Babacan ha dichiarato questa settimana che non si sarebbe associato a Davutoglu a causa delle differenze esistenti tra i due.

Ma è iniziata ufficialmente una nuova fase della politica turca con il tentativo di costruire un’alternativa al leader che dal 1994 (elezione a sindaco di Istanbul) cavalca in solitaria la scena politica nazionale.

twitter@FDepalo

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