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Erdogan il Libia. Il sultano pronto a inviare truppe contro Haftar

Il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, ha detto ieri durante un’intervista televisiva alla statale TRT che, sulla base dell’accordo Ankara-Tripoli, sarebbe disposto a fornire aiuti militari al governo libico per difendersi dall’aggressione del signore della guerra della Tripolitania, Khalifa Haftar.

Erdogan ha confermato quello che era stato anticipato a Formiche.net da una fonte di alto livello di Misurata — città-stato a est di Tripoli che fornisce la difesa militare e politica anti-haftariana. Il turco dice di avere il diritto, che andrebbe al di là dell’embargo Onu esistente, di inviare soldati se dovesse essergli richiesto dal “governo libico internazionalmente riconosciuto”.

Dal 4 aprile la Libia è piombata di nuovo nella guerra civile (la terza negli ultimi nove anni) dopo che Haftar ha lanciato la sua milizia su Tripoli nel tentativo di conquistare la città e poi intestarsi il controllo del paese come nuovo rais. L’offensiva è in stallo però: da otto mesi non si registrano guadagni territoriali, e la campagna di conquista procede in modo stanco.

La nuova guerra ha però delineato come il campo di confronto libico sia un dossier che riguarda anche attori esterni al paese. In un pericoloso gioco di influenza e interessi, alcuni stati si sono posizionati con vigore (ossia partecipando attivamente) dietro i due fronti. Su tutti due: gli Emirati Arabi stanno aiutando Haftar, la Turchia rinforza le difese di Misurata. Salendo di ordine, la Libia è un territorio di confronto proxy di uno scontro intrasunnismo che riguarda l’interpretazione dell’Islam politico turco contro le visioni dei regni del Golfo.

Recentemente la situazione s’è complicata perché la Russia, che ha formalmente cercato sempre di mantenere un atteggiamento distaccato sulla Libia, vedendolo come il più funzionale per i propri obiettivi (anche in polemica con la missione Nato contro Gheddafi del 2011), ha dato segnali di maggiore assertività. Sul fronte con Haftar ci sarebbero un migliaio di contractor militari di una società molto vicina al Cremlino.

Si tratta di una presenza non ufficiale (Mosca nega), ma è stata confermata da Washington, che s’è mostrata piuttosto indisposta da quei mercenari mandati a combattere sul lato opposto a quello in cui gli americani si sono posizionati — ultimamente con maggiore decisione. Erdogan ha detto ieri anche che intende a breve incontrare Vladimir Putin per parlare di Libia — diventata per il turco un altro quadrante delicato, dopo la Siria, in cui trovarsi sul lato opposto dell’amico russo.

L’accordo tra Turchia e Libia è stato firmato il 27 novembre e rapidamente ratificato dal parlamento di Ankara e dal consiglio presidenziale — a Tripoli il governo insediato dall’Onu oltre tre anni fa, seppure sostenuto dalla Comunità internazionale, non ha mai ricevuto l’implementazione prevista a causa del blocco di Haftar sulla Cirenaica e di uno scarso appeal del premier designato, e per questo lavora ancora tramite organismi transitori come il Consiglio attorno Fayez Serraj.

L’intesa è entrata in vigore sabato scorso ed è di carattere difensivo, per questo dalla Libia si annuncia un imminente rafforzamento tecnico e tecnologico, non escludendo quello tattico dei boots on the ground. Rumors non confermabili: uno dei Mig haftariani abbattuto sabato potrebbero essere stato centrato da sistemi turchi, ma si tratta di voci anche perché dalla Cirenaica si parla di problemi tecnici (non sfugga la necessità propagandistica di chi ha perso un pezzo di rilievo del proprio arsenale e di chi dall’altra parte invece cerca di pubblicizzare le proprie nuove capacità).

Nell’accordo ci rientra anche la spartizione congiunta di una fetta di uno più delicati quadranti marittimi del mondo: il Mediterraneo orientale (EastMed). Questa parte controversa delle nuove relazioni turco-libiche potrebbe alimentare una resa dei conti energetica in quelle acque ricche di gas, dove entrambi i paesi sono in contrasto con la Grecia e dove la Turchia vuol cavalcare i propri interessi ai danni di un’intesa che oltre ad Atene vede allineate anche Cipro, Israele ed Egitto (il Cairo insieme agli Emirati sponsorizza Haftar).

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