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L’impegno di Di Maio è positivo per la Libia (ma bisogna fermare Haftar)

Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, è stato in Libia per una visita lampo sui due lati degli schieramenti in guerra. Prima tappa a Tripoli, dove il governo internazionalmente riconosciuto resiste a un’offensiva spinta da oltre otto mesi dal signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, che il grillino ha incontrato successivamente a Bengasi, mentre a Tobruk ha visto il presidente della Camera dei Rappresentati, Agila Saleh, politico di riferimento del fronte della Cirenaica.

Da fonti vicine al vicepremier libico, Ahmed Maitig (uno dei politici libici più vicini all’Italia), l’incontro avuto con l’italiano viene descritto come “positivo”. Di Maio “ha assicurato l’aiuto dell’Italia nel fermare Haftar, ovviamente con la diplomazia”, è il commento che arriva dalla Libia: “La visita è stata piuttosto apprezzata, sembra che Roma si sia data una scossa dopo settimane e settimane di stop. Fermare la guerra sarà difficile, ma fermare l’aggressione di Haftar è lo sforzo necessario per avere una Libia libera e democratica”.

Il viaggio libico – anticipato sabato in questo giornale seppur smentito della Farnesina, a sua volta smentita dai fatti odierni – arriva in un momento particolarmente delicato. L’intensità dei combattimenti potrebbe aumentare già nelle prossime ore, con Misurata – centro della difesa politica e militare della Tripolitania – che ha ricevuto aiuti dalla Turchia e spinto alla mobilitazione generale delle milizie, muovendo su decisioni analoghe altre città della regione. Zliten, Al Zawiya, Cabao, Al Raheebat, Al Khums e Muslata, hanno annunciato lo stato di emergenza e chiamato alle armi contro Haftar. Di là gli haftariani cercano di sfondare le linee bloccate da oltre metà anno.

Risultato potenziale: un bagno di sangue, visto che per prendere Tripoli i combattimenti si dovrebbero spostare in aree ancora più densamente popolate dell’hinterland che attualmente fa da fronte. Di Maio ha ripetuto oggi una formula che ogni attore politico-diplomatico che si approccia sul dossier continua a dire da mesi, purtroppo senza troppa efficacia: “Nessuna soluzione militare è possibile”, serve il riavvio del percorso politico.

Con una tappa che viene descritta come risolutiva, ma su cui molti non credono profondamente: la Conferenza internazionale di Berlino, volano per un cessate il fuoco stabile e il riavvio dei negoziati. Per comprendere lo stato dell’arte attorno alla questione, però basta un flash: della riunione che dovrebbe fermare le armi in Libia si parla da almeno tre mesi, ma non c’è ancora una data fissata per l’incontro.

Intanto oggi il portavoce del Cremlino ha annunciato che il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo turco Recep Tayyp Erdogan, nell’incontro previsto per l’8 gennaio, discuteranno “senza dubbi” della possibilità che Ankara invii truppe a sostegno di Tripoli – o meglio: di Misurata. Un’eventualità tirata in ballo direttamente dal turco in diretta televisiva, che conferma come sul dossier libico alcuni attori esterni stanno diventando sempre più centrali.

La scorsa settimana il portavoce di Erdogan aveva spiegato che sulla base dell’accordo firmato tra Turchia e Libia il 27 novembre s’è creato il quadro giuridico che potrebbe fare da copertura all’invio di truppe di Ankara nel caso in cui il governo libico dovesse richiederlo: “Naturalmente la Libia non ci ha rivolto una richiesta simile e speriamo che non lo facciano”, aveva aggiunto.

Anche perché sull’altro lato del conflitto si sono messi i russi, almeno per una parte dell’apparato interno, quello della Difesa (più diplomatico e distaccato il mondo degli Esteri). Alcuni contractor di una società vicina al Cremlino starebbero coordinando – con l’uso di strumentazioni militari sofisticate e uomini addestrati, come cecchini professionisti – l’avanzata haftariana. Mosca “sostiene qualsiasi sforzo internazionale dei singoli Paesi in termini di ricerca di vie d’uscita dalla crisi”, ha detto oggi il portavoce di Putin glissando sulla presenza di uomini a terra e parlando dell’incontro con Erdogan. Uno schema che è sembrato ricreare un quadro simil-siriano in cui appare evidente la centralità presa da russi e turchi – che hanno già dimostrato di essere in grado di stressare i dossier per poi riallinearsi.

“La missione del ministro Luigi Di Maio in Libia è un atto necessario, specialmente dopo il quadro che è emerso dai dialoghi tenuti a margine del MED 2019 e l’inconsistenza di alcune posizioni di Paesi terzi che hanno sostanzialmente glissato sui temi più scottanti come quello del sostegno alle forze militari e paramilitari”, ha scritto in una nota su Facebook il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano. “Il nostro governo, tra enormi fatiche dovute proprio a questo contesto, sta cercando da tempo di risolvere il complesso puzzle partendo da una considerazione strategica quanto ovvia per il futuro: sono i libici a dover pacificare la Libia e pensarne il futuro”, ha aggiunto.

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