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Così l’Europa deve investire sullo Spazio (e sul Green deal). Parla Salini (FI)

Il rischio di una riduzione della risorse per lo Spazio dell’Unione europea pare sventato, ma occorre tenere alta l’attenzione. L’Italia vanta eccellenze nel campo, da valorizzare anche in vista della sfida del Green deal. Parola di Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia e relatore del programma spaziale europeo a Strasburgo, che Formiche.net ha raggiunto per un quadro delle sfide extra-atmosferiche nel Vecchio continente. Per il prossimo bilancio dell’Unione (2021-2027), la proposta presentata dalla Commissione europea nel 2018 era di 16 miliardi di euro. Durante lo scorso semestre di presidenza finlandese, i negoziati tra i Paesi membri nell’ambito del Consiglio dell’Ue hanno però prodotto una nuova bozza di bilancio, riducendo le risorse spaziali fino a un massimo di 12,7 miliardi. Il Parlamento europeo, a partire dal presidente David Sassoli, aveva promesso da subito battaglia per (almeno) mantenere i livelli precedenti.

Salini, come stanno le cose adesso?

Fortunatamente la proposta finlandese è stata completamente abbattuta sia in sede di Consiglio, che nel Parlamento europeo. C’è ormai un common understanding sul tema, volto se non altro a tutelare la proposta iniziale della Commissione per 16 miliardi di euro, proposta che era stata aumentata a 16,9 miliardi su mia proposta dal Parlamento. Per ora la discussione è ferma. Occorre ripartire.

Ma come si è arrivati alla riduzione della bozza finlandese? Qualcuno ha premuto per ridurre i fondi?

Non occorre una grande analisi a riguardo. La proposta era figlia di un semestre molto prudente e, se posso permettermi, piuttosto incolore. La cosa più semplice era puntare al contenimento del bilancio.

Perché è importante mantenere alto il livello di ambizione (e di risorse) dell’Ue sullo Spazio?

Per due ragioni. Primo, perché ci sono i grandi programmi da portare avanti, Galileo e Copernicus, che costano molto e richiedono ingenti investimenti per poter essere impattanti. Secondo, perché gli stessi Galileo e Copernicus sono legati al futuro di altri programmi. Nel caso dell’osservazione della Terra, il collegamento tra Copernicus e il Green deal è evidente. O si investe sui programmi spaziali, o si rischia di generare un effetto a catena pericoloso per il futuro. Ci sono nuovi programmi da implementare, come GovSatCom e Ssa (la Space surveillance awareness). Se non ci sono le risorse, sono destinati a scomparire.

Da Strasburgo e Bruxelles, come giudica l’azione italiana nel campo spaziale, tra ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e i programmi dell’Unione?

L’Italia gioca bene la partita spaziale. Francamente, devo ammettere che non avevo compreso perché il precedente governo aveva deciso di sostituire in maniera improvvisa il vertice dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). Oltre quel passaggio particolare, con Giancarlo Giorgetti prima, e con Riccardo Fraccaro dopo (i due sottosegretari con delega allo Spazio, ndr), e con la costante presenza dell’ammiraglio Carlo Massagli, il governo italiano ha generato un’ottima performance politica e tecnica sulle partite spaziali. Vi abbiamo contribuito anche noi parlamentari europei, non solo a livello di governance, ma pure in tema di accesso ai finanziamenti per Spazio e Difesa, ottenendo risultati importanti.

Ad esempio?

Ad esempio sull’European defence fund (Edf), il nuovo fondo per la Difesa, su cui abbiamo ottenuto la modifica della proposta franco-tedesca che prevedeva la possibilità di accedere ai finanziamenti per un progetto di almeno due Paesi, sostituendo la formula con “almeno tre Paesi”. Così abbiamo di fatto bloccato il tentativo di oligopolio che qualcuno cercava irragionevolmente di portare avanti.

In Italia spesso ci raccontiamo le nostre eccellenze spaziali. Sono avvertite allo stesso modo anche dai partner europei?

Non c’è dubbio. Anzi, non di rado la manifattura italiana, capace di generare alta qualità e talento a tutti i livelli, genera una sorta di complesso di inferiorità in altri Paesi europei. Magari non ci invidiano la politica, ma sicuramente invidiano la ricchezza della nostra società civile e del comparto manifatturiero. In particolare nel settore spaziale, le imprese italiane dimostrano sempre vivacità e qualità. Anche per questo tra circa un mese porterò una delegazione della Commissione industria del Parlamento europeo in visita ad alcune eccellenze tra Milano e Torino.

Lo Spazio sembra un settore facilmente bipartisan. È così?

Deve esserlo. Il valore e il talento sono bipartisan. La politica che non si inchina alla primazia del talento prodotto dalle nostre imprese non è politica, è un’altra cosa, una verbosità senza costrutto. La nostra responsabilità come politici (cosa in Parlamento europeo riesce piuttosto bene) è di non attardarci in tentativi di parte, potendo contare su un retroterra di grande valore che la nostra industria dello spazio e della difesa sa garantire. Giorni fa, quando ho detto che il governo italiano aveva fatto bene a destinare 2,3 miliardi di euro al bilancio dell’Esa, non ho fatto un endorsement all’esecutivo. Ho semplicemente riconosciuto una scelta giusta del Paese.

Prima ha fatto riferimento al contributo spaziale per il Green deal. Può spiegarci meglio.

Il Green deal è una sfida alla nostra portata. Si può dire che lo abbiamo inventato noi italiani. L’Italia è da tempo eccellente sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, tra i Paesi più performanti sulla circular economy. Molte delle tecnologie in questi campi arrivano da noi. Tra queste ci sono quelle spaziali, capaci di garantire un Green deal a misura di sviluppo. Basti pensare alle capacità garantite dal sistema di osservazione Copernicus, con mille utilizzi possibili dal punto di vista del downstream, dall’analisi delle emissioni di CO2 in atmosfera, all’agricoltura di precisione (con verifiche al dettaglio a uso e consumo delle nostre eccellenze agricole), fino alle verifiche meteorologiche. Copernicus, insieme al sistema di navigazione satellitare Galileo, rappresenta uno strumento perfetto per cogliere la sfida del Green deal. C’è però una condizione politica.

Quale?

Che il Green deal non venga concepito dai governi come un progetto di finanziamento per le partite terze, come sostegno economico a chi la sfida non l’ha mai accettata. Non si può immaginare di dare alla Polonia 2 miliardi di euro del Just Transition Fund (il fondo per la transizione volto ad attutire i costi economici e sociali, ndr) solo per comprarne il voto in consiglio, detto brutalmente. Il Green deal deve essere rivolto a chi è in grado di produrre valore e tecnologia a sostegno della sostenibilità. È importante che tale progetto premi anche le aziende italiane – grandi, medie, piccole e start up che nascono dalla nostre Università – che da sempre hanno creduto in questa sfida e generato valore.

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