Skip to main content

La tecnofinanza e i suoi luoghi oscuri. Dibattito sul libro di Guido Maria Brera

Una nuova aristocrazia governa il mondo: è l’economia hi tech, le corporation del digitale, i signori delle app. In una parola, la tecnofinanza. Per essere visionario, “La fine del tempo” (La Nave di Teseo, nelle librerie dal prossimo 20 febbraio), ultima fatica letteraria di Guido Maria Brera, lo è. Un viaggio nel tempo che cambia, dove all’economia tradizionale, tutta risparmio e mattone, se ne sostituisce una nuova, più veloce, quasi istantanea. Dove il fattore tempo non conta più e dove i tassi di interesse, come il costo del denaro, non esistono più.

Lo scrittore, saggista e finanziare co-fondatore del gruppo Kairos nel 1999, tra i fondi gestori leader in Europa, ha presentato ieri sera alla Camera, presso il complesso di vicolo Valdina, il suo ultimo libro. Alla presentazione, promossa dalla Fondazione Einaudi, hanno preso parte tra gli altri, il giornalista Oscar Giannino, il viceministro dell’Economia, Antonio Misiani, il procuratore della Repubblica, Francesco Greco, il presidente della Fondazione Einaudi, Giuseppe Benedetto e ovviamente l’autore.

L’analisi di fondo parte dalla mutazione genetica avvenuta nella nostra economia, almeno negli ultimo 20 anni. Ovvero la nascita dell’economia high tech e il dominio delle grandi corporation tecnologiche. Il libro di Brera vuole essere una ricerca su quel paradosso dei tassi a zero che hanno reso possibile l’ascesa delle platform companies, cancellando la variabile principale del gioco finanziario – il tempo – e condannando il pianeta Terra a vivere un eterno presente in cui tutto è possibile per i nuovi padroni del vapore, i signori del silicio, l’aristocrazia delle app. In altre parole, nessun confine nell’economia, fine del capitale vecchio stampo, tutto banconote e risparmio. Tutto è possibile con l’economia digitale, in qualunque parte del mondo ci si trovi. E al più basso costo immaginabile.

L’impatto dell’economia digitale e delle corporation è così forte, ha spiegato il viceministro Misiani, che oggi gran parte delle obbligazioni emesse dagli Stati ha tassi di rendimento negativo. In altre parole rendono meno di quello che costano.

Recentemente il controvalore dei titoli di Stato con rendimenti negativi ha raggiunto la ragguardevole cifra di 17.000 miliardi di dollari, corrispondenti a circa un quarto del totale in circolazione. Sono negativi i tassi applicati a gran parte dei titoli emessi dalla Svizzera, dal Giappone, dalla Germania, dalla Francia, dall’Olanda e da altri Paesi europei. Se poi si fa riferimento ai tassi reali, al netto dell’inflazione, il fenomeno assume dimensioni inusitate. “Quanto può reggere un’economia che si basa su tassi negativi sui titoli?”, si è chiesto Misiani. “Noi dobbiamo essere consapevoli di questo nuovo ordine, nuovo paradigma di cui l’autore parla. Un qualcosa che sta incrinando gli stessi sistemi democratici, aumentando le disuguaglianze. Questa generazione sta sperimentando direttamente in questo tempo tutte queste conseguenze”.

Di qui, il compito della politica. “Dobbiamo assolutamente ridurre le disuguaglianze, che sono il prodotto di una nuova economia mondiale. Siamo dinnanzi a un bivio, è necessario assumere scelte coraggiose, l’errore che possiamo fare ma che non dobbiamo commettere è quello di evitare un aumento delle disuguaglianze”, ha chiarito Misiani.

Secondo il presidente della Fondazione Einaudi, Benedetto, gli ultimi anni hanno dimostrato al mondo il grande potere dell’economia digitale sulla vita quotidiana, ribadendo tuttavia la necessità di regole. Concetto peraltro espresso in precedenza dallo stesso procuratore della Repubblica, Greco. Il presidente della Fondazione ha poi rimarcato un altro concetto, ovvero il primato della politica, anche sulla tecno-finanza, un qualcosa che va governato certamente nel rispetto delle opportunità che essa può offrire. Oscar Giannino ha invece insistito sulla disintermediazione della finanza, che ha avuto come effetto quelle di abbassare i tassi di interesse, sul denaro e sui titoli. E questa è, secondo il giornalista e saggista, una forma di povertà. “Siamo arrivati a concepire l’economia come un qualcosa di profondamente immateriale, dove con un click si spostano capitali. Ma questo processo ha avuto come esito quello di un generale abbassamento dei tassi, intesi come valore dei prodotti finanziari”.

Ma è stato proprio l’autore Brera a dare una visione di insieme. “Sotto un determinato livello di tassi di interesse abbiamo capito che l’economia non cresce. Il tema vero è l’assenza totale di regole e politica nel nostro tempo, un tempo dominato dalle piattaforme digitali offshore. Oggi non ci sono più regole fiscali e questi business digitali hanno una sola regola: un algoritmo che scarica sul lavoratore tutti i rischi”.

Secondo lo scrittore e finanziere, c’è un altro elemento da tenere in conto per comprendere il fenomeno dell’economia digitale e dei suoi giganti. “C’è la questione dei dati, l’Europa ha consentito a queste piattaforme di prendere tutti i nostri dati e metterseli dentro un server. E la stessa Europa ha consentito alle medesime piattaforme di evadere le tasse. Io dico che l’Europa è molto più forte di qualunque forma di tecnofinanza. Lo Stato può essere superiore, vincere la tecnofinanza e i suoi mali. Basta solo mettere le regole”.

Exit mobile version