Skip to main content

Missione Ue per controllare embargo e tregua. La linea italiana sulla Libia

“L’unico modo per garantire un cessate il fuoco totale è togliere le armi” e per farlo “è necessario creare una missione dell’Unione Europea”. È questa l’idea che il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha ribadito in un punto stampa durante la Conferenza internazionale per la sicurezza di Monaco. Incontro che i tedeschi hanno usato come cornice diplomatica per chiedere all’Italia di entrare a far parte dell’E3, il terzetto composto da Germania, Francia e Regno Unito, che cura per conto dell’Europa i negoziati sulla Libia.

La crisi continua, e sta assumendo sempre più dimensioni economico-umanitarie dato che il principale elemento produttivo del Paese, il petrolio, è fermo. Bloccato da una decisione presa dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, che ha sfruttato le tribù a lui fedeli per chiudere gli impianti e aumentare la morsa contro Tripoli assediata. Ieri Haftar ha recapitato un messaggio ai suoi proseliti — a cui non parla mai direttamente per paura di subire attentati anche all’interno delle sue roccaforti. Nel caso, a Bengasi, dove era in corso una manifestazione organizzata dagli haftariani contro le interferenze turche nel conflitto: “Non ci fermeremo. Non ci sarà nessun cessate il fuoco fino alla liberazione di Tripoli”.

È la discrepanza tra quello che viene raccontato dalle diplomazie internazionali che ruotano attorno al conflitto, e quella che è la narrazione libica. Gli aiuti esterni — dalla Turchia per Tripoli, da Emirati ed Egitto per Haftar — hanno reso ancora più vigorose le ambizioni dei due fronti. L’aggressore, Haftar, vuole spingersi fino alla presa definitiva della capitale e del paese. Gli aggrediti sanno che una respinta dell’assedio può trasformarsi in una politica pro-attiva per battere il rivale.

“Ci siamo detti che l’Ue deve avere un ruolo fondamentale, per bloccare l’ingresso di armamenti in Libia”, ha detto il capo della diplomazia italiana che ha visto altri omologhi europei, “anche perché armamenti che qualcuno dà a una parte a volte vengono venduti al mercato nero all’altra parte, quindi il caos è totale. L’unico modo per garantire un cessate-il-fuoco totale è togliere le armi che stanno circolando in Libia per questa guerra”. Di Maio ha ricordato che domani mattina ci sarà una riunione “importantissima” del Consiglio degli Affari esteri dell’Ue alla presenza di tutti i ministri dei Paesi membri: “Lì discuteremo di una missione che consenta di bloccare l’ingresso delle armi via aria, via terra e via mare”.

Di Maio ha ricordato come ormai la situazione abbia preso la dimensione della guerra per procura, su cui solo una posizione compatta dell’Unione europea può imporre un freno. A tal proposito si è evocata la possibilità dell’invio in Libia di una missione (militare?), su cui però il ministro ha precisato che andrebbe presa la decisone di concerto “con le Nazioni Unite e le parti” in conflitto. Uno scenario piuttosto complesso se si considera che all’interno dell’Ue ci sono paesi come la Francia o la Grecia che supportano più o meno direttamente Haftar, così come fa la Russia dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E per quanto riguarda le parti in Libia, ognuna delle due cerca di accreditare le proprie istanze come le più giuste — sebbene su questo vada tenuto conto che a Tripoli siede già un governo internazionalmente riconosciuto e insediato attraverso uno sforzo delle Nazioni Unite.

Di Maio ha parlato di creare una posizione unita tra la Comunità internazionale e di preparare gli “strumenti giusti” per garantire il rispetto dell’embargo — in piedi teoricamente dal 2011, ma in pratica violato con costanza. Ieri parlando a Monaco, la vice-rappresentante speciale per la Libia dell’Onu, Stephanie Williams, ha detto che le “violazioni dell’embargo sulle armi in Libia sono diventate una barzelletta ed è imperativo che coloro che lo violano siano tenuti in considerazione” — ma la Comunità internazionale è timida a condannarle, soprattutto quelle sul fronte haftariano.

Sul contesto della missione di controllo, Di Maio ha precisato: “Non parlerei sicuramente di missione militare, ma è una missione che utilizza anche strumenti militari per evitare che entrino armi in Libia. Questo lo si faceva in passato, ma con forme troppo deboli, adesso possiamo farlo con una missione dedicata con un mandato specifico. Ed è chiaro che va monitorato l’ingresso aereo delle armi e quindi i velivoli che portano le armi in Libia, vanno monitorati i confini terresti che sono enormi e i confini marittimi”.

Ieri chi scrive ha tracciato con semplici strumenti open-source un aereo-cargo Ilyushin Il-76T partito dagli Emirati Arabi e atterrato a Bengasi dopo uno scalo in Giordania. È una rotta classica della supply-chain che alimenta l’offensiva haftariana su Tripoli.

 

Exit mobile version