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Conte, i sovranisti e il miraggio delle larghe intese. Parla Orsina

Come ripeteva Margareth Tatcher, dice a Formiche.net il professor Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Goverment, l’assenza di alternative in politica si rivela un’arma formidabile, ed è proprio questa la forza del governo Conte (divetato nel frattempo da regista dell’alleanza a problema per tutti). Ma se la congiuntura dovesse cambiare per via di una crisi partitica, sociale o finanziaria, come sottolineato dal sindaco di Milano Beppe Sala, allora le larghe intese, dice il politologo, sarebbero a portata di mano.

Giuseppe Conte, da regista dell’alleanza di governo a potenziale problema (forse per tutti)?

Sì, secondo me questo è il quadro, perché in una politica italiana completamente destrutturata chi ha delle risorse particolari finisce per diventare il centro del sistema. È successo a Berlusconi, Renzi e Salvini che avevano il consenso. Per Conte è diverso, ma dal momento che oggi il consenso politico non ce l’ha nessuno in misura sufficiente da diventare il centro del sistema, è evidente che questo elemento, sommato alla pandemia, ha aperto un vuoto che Conte occupa in quanto premier. Le sue risorse istituzionali in un momento di scarse risorse politiche diventano centrali.

Anche in rapporto al contesto partitico?

L’appassire di Salvini gioca un ruolo. Prima Conte si è “appoggiato” al segretario leghista, la sua forza consisteva nell’essere il “baluardo” contro Salvini, non avendo lui forza politica propria. Adesso che il peso specifico di Salvini si sta affievolendo, la congiuntura rappresentata dal Covid, dal piano di ripresa e dalla presidenza del Consiglio fa sì che Conte utilizzi il suo ruolo istituzionale al massimo delle sue possibilità. Ciò lo mette al centro e, se vogliamo, al contempo lo rende elemento di stabilizzazione. Dopo di che, appena qualcuno in Italia prende più potere, l’obiettivo di tutti gli altri è farlo fuori, tanto più quando questo potere finisce per essere concorrenziale con quello dei partiti che lo sostengono e dei loro singoli rappresentanti.

Il Pd teme che l’immobilismo di Conte possa produrre una debacle alle regionali e quindi innescare un effetto sul governo nazionale?

Questo è un altro aspetto ancora. Conte ha guadagnato centralità restando fermo e non decidendo. È quello che parla con tutti e garantisce tutti. Se dovesse decidere prenderebbe una parte e finirebbe per rompere questo precario equilibrio. È evidente, però, che c’è un Paese da governare eduna strategia come quella di Conte di mettersi al centro senza rompere gli equilibri, decidendo il meno possibile, riparandosi dietro parti sociali e tecnici, finisce per essere una strategia immobilista. Dopo un po’ il Paese potrebbe fortemente irritarsi, far scemare il suo consenso e dare una spinta alle opposizioni. Un’altra spinta potrebbero darla i partiti della maggioranza, presentandosi divisi in quasi tutte le Regioni. Stante il sistema elettorale regionale, un’operazione del genere sarebbe per loro devastante. Ma qui Conte non avrebbe alcuna responsabilità.

Il senatore Ceccanti ha ritirato l’emendamento contro “i pieni poteri” del Mef. Una resa dem al premier?

Non penso, mi pare diretta più al ministro dell’economia Roberto Gualtieri. In altri momenti e in altri governi, come osservato dallo stesso Ceccanti, si sarebbe gridato allo scandalo. Figurarsi se fosse accaduto in un governo Salvini: altro che Orbán! A ogni modo, il ministro dell’economia è una figura diversa dal premier e il tutto credo vada letto in un’ottica di rapporti tra Gualtieri e il Pd, un partito che al momento è fortemente diviso al proprio interno.

Il M5s, che perde pezzi in direzione Lega, è spaccato tra i governisti e gli ortodossi che puntano su Di Battista. La contrapposizione Conte-Di Maio sarà decisiva?

È una partita ancora aperta che difficilmente si chiuderà in tempi rapidi. Per Di Maio Conte è un problema in quanto potenziale leader del M5S, dato molto forte dai sondaggi – un po’ troppo forte, a mio avviso. Conte è un competitor nel mondo grillino, ragion per cui è un elemento non solo di stabilizzazione ma anche di destabilizzazione. D’altra parte per il momento Di Maio non ha interesse a far precipitare nulla e credo resterà ancora in questa situazione ambigua, continuando a marcare Conte da vicino. Il M5S, non dimentichiamo, ha tanti altri giocatori come Casaleggio, Grillo, Fico. Non si comprende ancora bene però come giocheranno.

Il sindaco di Milano Sala attacca: “Governate o ci saranno licenziamenti”. Il fatto che non vi sia un’alternativa a questo governo può essere sufficiente per uno status quo che mostra i suoi limiti?

In politica l’assenza di alternative – vera o presunta – rappresenta un elemento fortissimo. TINA, there is no alternative, diceva notoriamente Margaret Thatcher. La capacità di usare l’argomento dell’impossibilità è un’arma formidabile: in questo caso quest’argomento è in larga parte vero, si pensi che i sovranisti sono premiati dai sondaggi ma non hanno avuto la capacità di mettere in piedi una reale alternativa di governo. Le larghe intese sono ancora lontane ad oggi, mancandone le condizioni. Se fosse stata diversa la situazione generale il Governo sarebbe già caduto in quanto debolissimo e con l’unico elemento di forza da ritrovare, appunto, nell’assenza di alternative.

Però?

Detto questo, nel momento in cui dovesse rompersi qualcosa, anche quell’argomento diventerebbe non più sostenibile. Penso ad esempio alla possibile esplosione del M5S, a una grande vittoria delle opposizioni alle regionali, o alla situazione citata da Sala: a quel punto allora un’alternativa purchessia salterebbe fuori. Lo dice la storia. Potrebbe essere complicata o lontana o tutta da costruire, ma la possibilità di un governo di larghe intese ci sarebbe. Basterebbe spiegarlo anche ai sovranisti.

twitter@FDepalo

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