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Ritiro Usa dalla Germania? Ecco perché non aiuterà la Difesa europea

L’eventuale ritiro americano dalla Germania darà spinta alla Difesa europea? È la domanda che Judy Dempsey, non-resident senior fellow di Carnegie Europe e direttore di Strategic Europe, ha rivolto a dodici esperti delle relazioni transatlantiche. La risposta non è univoca, ma tendenzialmente emerge la convinzione che il futuro della Difesa europea dipenda solamente dalla convinzione politica che il Vecchio continente rivolgerà al dossier. Sulla mossa di Donald Trump, seppur ancora incerta, i commenti sono invece abbastanza allineati: non risponde agli interessi degli Stati Uniti, né a quelli europei.

SE IL RITIRO NON AIUTERÀ LA DIFESA EUROPEA

Piuttosto drastico il commendo di Claudia Major del German institute for internazional and security affarais: “È improbabile che la possibile decisione degli Stati Uniti dia la spinta necessaria alla difesa europea; al contrario, potrebbe generare ulteriore frammentazione, poiché gli europei potrebbero non essere d’accordo su come reagire e partecipare a una sorta di concorso di bellezza per tenere gli Usa in Europa”. Sulla stessa linea Heather A. Conley, vice presidente per l’Europa del Center for strategic and internazional studies (Csis): “La riduzione delle forze Usa non accelererà l’integrazione della Difesa europea”. Probabilmente, aggiunge, “accelererà la strategia europea di Difesa e un libro bianco che descriva il bisogno di maggiore autonomia rispetto agli Usa”, ma ciò non si tradurrà in un’integrazione vera e propria.

IL FUTURO EUROPEO DIPENDE DALL’EUROPA

D’altra parte, aggiunge John R. Denir, professore presso l’Istituto di studi strategici dello US Army war college, “solo una maggiore integrazione politica europea permetterà di realizzare veramente un’integrazione della Difesa”. La situazione di partenza non è ben augurante. Secondo Barbara Kunz dell’Institute for peace research and security policy, “gli europei non hanno una visione univoca della traiettoria futura delle relazioni transatlantiche”. Inoltre, rimarca l’esperta, ci sono “teorie differenti sul nesso causale tra integrazione europea della Difesa e l’impegno Usa nella sicurezza del continente”. Lo dimostra l’interpretazione differente che i Paesi hanno del concetto di “autonomia strategica”. Per Parigi va inteso come indipendenza dagli Usa. Per Roma (e Berlino, che resta su questa linea) è un rafforzamento della componente europea all’interno dell’Alleanza Atlantica.

UN PROBLEMA OPERATIVO

Divergenze anche sul fronte industriale. “Già esiste una significativa infelicità tra le aziende della difesa non francesi con l’entusiasmo della Francia nel promuovere l’integrazione del settore sulla base di condizioni che sembrano favorire principalmente le sue imprese imprese”, nota Elisabeth Braw del Royal United Services Institute. “Per quanto riguarda l’integrazione delle Forze armate – aggiunge – permane l’ostacolo della struttura di comando e dell’assegnazione delle truppe”. C’è poi una questione temporale. Secondo le indiscrezioni, il ritiro di 9.500 unità (un quarto della presenza Usa in Germania) dovrebbe avvenire da settembre, per risolversi nel giro di poche settimane. Ma agli europei, nota Anna Wieslander, direttore per Nord Europea presso l’Atlantic Council, “lo sviluppo di capacità congiunte richiederà molti anni; perfino i francesi, che credono nell’indipendenza europea della difesa, parlano di un decennio da oggi; le truppe statunitensi spariranno invece entro ottobre 2020 e ciò rappresenta un grosso problema per la difesa europea, qui e ora”.

EVITARE COMUNQUE TAGLI AL BUDGET

Anche per questo il research director del German council on foreing relations Christian Mölling suggerisce una serie di correttivi ai Paesi europei, tra cui “prevenire tagli ai budget della Difesa” e “pensare, preparare e predisporre la cooperazione come uno sforzo necessario e di lungo termine che vada contro l’istinto iniziale di Stato e Forze armate”. Sulle risorse è netto anche Ben Hodges del Center for European policy analysis: “Se l’Unione europea non è disposta a stanziare risorse adeguate per la mobilità militare, per fare solo un esempio, allora qualsiasi discorso sull’autonomia strategica e l’integrazione europea è una retorica vuota”.

GLI OTTIMISTI

A temerlo è anche Rem Korteweg dell’istituto olandese Clingendael: “Considerando che i governi si stanno assumendo enormi debiti per affrontare l’impatto della pandemia da coronavirus, i tagli al budget sembrano inevitabili”. Sull’idea che il ritiro Usa possa accelerare la Difesa europea, l’esperto resta comunque possibilista, considerando come già gli annunci di ritiro americano dal Medio Oriente e la fine del trattato Inf abbiano portato il Vecchi continente a procedere con più determinazione nei progetti comuni. È possibilista anche Ben Tonra, professore di Relazioni internazionali all’University college di Dublino: “Il ritorno di ingenti investimenti per la difesa dal bilancio dell’Ue (per ora), i lavori in corso (se adeguati) per dare sostanza alla cosiddetta autonomia strategica, la riattivazione del motore franco-tedesco e la peculiare determinazione del Regno Unito a non discutere di sicurezza e difesa nei negoziati sulla Brexit sono tutte tendenze integrative per l’Ue”.

TRA BERLINO…

C’è poi chi attribuisce una particolare rilevanza alle mosse di Berlino. “La presidenza tedesca dell’Ue che inizierà a luglio – spiega Raluca Csernatoni di Carnegie Europe – offre un’opportunità per portare avanti il momentum della Difesa europea, se non addirittura per accelerarlo”. Perché? Perché nonostante i rischi di budget, “le ambizioni della Germania per creare il cosiddetto strategic compass paiono giungere nel momento perfetto per allineare le culture strategiche e le percezioni della minaccia degli Stati membri”.

…E WASHINTON

Infine, c’è chi si concentra su cosa succederà a Washington nei prossimi cinque masi. La spinta alla Difesa europea, spiega François Heisbourg dell’International institute for strategic studies, nel medio termine “non ci sarà”; nel medio-lungo, “forse”, a seconda del risultato delle prossime presidenziali. “La reazione naturale in Germania e in gran parte dell’Europa sarà quella di aspettare fino a quando l’ex vice presidente Joe Biden non sarà (si spera) eletto presidente a novembre 2020”. In caso non accadesse, nota l’esperto, “si supporrà che un presidente degli Stati Uniti anti-alleanza re-legittimato rinuncerà alle discipline multilaterali della Nato”. In questo caso, ci potrebbe essere una spinta all’integrazione europea. Non per tutti, visto che alcuni (“come la Polonia”) preferiranno stringere di più con Washington. Altri ancora, infine, “daranno maggiore risalto ai rapporti con Russia e Cina”.

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