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La partita politica e militare di Sirte (da cui passano i negoziati sulla Libia)

Il premier libico, Fayez Serraj, ha coordinato mercoledì una riunione militare per affrontare la situazione a Sirte, città costiera centrale della Libia  – sul golfo omonimo – che è il centro attuale dello scontro tra le milizie che combattono per il governo di Tripoli (Gna) contro ciò che resta della campagna militare con cui Khalifa Haftar voleva conquistare la capitale e il Paese quattordici mesi fa.

La battaglia di Sirte torna a essere un momentum nella crisi in Libia. Si scrive “torna” perché si ricorderà che quattro anni fa, le forze del Gna (principalmente quelle di Misurata) organizzarono una missione massiccia per strappare la città all’infestazione dello Stato islamico – che vi aveva piazzato la sua fiorente capitale extra Siraq approfittando del caos legato alle precedenti controversie tra Est e Ovest del Paese.

Anni prima, nel 2011, Sirte fu il teatro della fine sanguinosa del rais Gheddafi, lì ucciso dai manifestanti. Ora, per la terza volta, molte delle dinamiche future potrebbero ruotare attorno alla città. E non solo per quello che riguarda la stabilizzazione inter-libica, tra i blocchi della Tripolitania e della Cirenaica, ma anche nel quadro degli equilibri interni al Gna.

Nel governo la linea è doppia: da un lato c’è quella sostenuta da Ahmed Maiteeg, vicepremier sempre più importante, che sta cercando di portare avanti trattative con le forze haftariane restate nella città e con i gruppi tribali locali. L’obiettivo è arrivare a qualcosa di simile a quanto visto a Tarhouna, dove l’assedio si è concluso una decina di giorni fa con una quantità di danni collaterali minima; le forze del Gna hanno ripreso il controllo dopo che le unità di Haftar hanno lasciato l’area.

All’opposto ci sono nel governo posizioni più lanciate, come quella di Fathi Bashaga, ministro dell’Interno, misuratino parte della Fratellanza musulmana, che vorrebbe spingere sull’acceleratore e strappare la città prima dell’avvio di nuovi round negoziali. Anche a costo di scontri più violenti (c’è una parte delle milizie del Gna che vede Haftar e i suoi uomini come nemico esistenziale, ed è lì che Bashaga raccoglie consensi).

La linea diplomatica di Maiteeg è quella più battuta, anche perché è un valore per il bilanciamento tra gli attori esterni. Una fonte dal Gna spiega a Formiche.net che mercoledì si è alzato in volo per la prima volta uno dei caccia che la Russia ha piazzato ad al Jufra (una base aerea haftariana nella direttiva meridionale a sud di Sirte, qualche centinaia di chilometro nell’entroterra). Ha sorvolato Sirte, in una missione di comunicazione: ossia, inviare un messaggio di deterrenza e presenza.

Nelle forme di contatto e contratto su Sirte il ruolo degli attori esterni è centrale. Anzi, la città diventa un passaggio che può fare da riferimento per tutto il resto. Per esempio, l’Egitto – che ha un forte interesse sulla Cirenaica – ha lanciato un piano di stabilizzazione che ha ricevuto una serie di avvalli (tra gli altri anche dall’Italia, a secco di proposte, e dagli Stati Uniti, che osservano dalla distanza).

Sirte è un elemento di trattativa, perché le forze della Cirenaica (qui intese come Egitto e Russia, non come Haftar) potrebbero accettare che torni sotto il controllo del Gna a patto che non ci siano spargimenti di sangue e rappresaglie e che, soprattutto, i miliziani tripolini non si spingano fino ad al Jufra – piano invece lanciato da Bashaga.

Una partita di scambio che coinvolge chiaramente la Turchia, che è il motore militare della Tripolitania, ma che nell’ottica di un bilanciamento di influenza potrebbe tirare il freno per non indispettire troppo gli egiziani, forte di un colloquio continuo con i russi. Ankara si è posta questo obiettivo diplomatico: garantire la stabilizzazione per conto degli americani, e farlo in un quadro di contenimento di Mosca. Col Cairo, nemico turco non solo in Libia ma nel contesto ideologico intra-sunnita, parla a sua volta Washington, come forma di garanzia incrociata.

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