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Serraj alla prese con le proteste. Se la Libia rischia un caos nel caos

Corruzione, deterioramento delle condizioni di vita, sfiducia nel futuro, senso di oppressione sociale. Le stesse istanze che varie collettività in giro per il mondo denunciano contro i propri governanti sono arrivate recentemente in Libia. Centinaia di cittadini sono scesi in strada a Tripoli e in altre città della Tripolitania per chiedere che il governo onusiano Gna faccia di più per loro. E forse le esperienze comuni in altre regioni del pianeta fanno da acceleratore.

L’eco delle proteste si lega non senza malizia alla situazione nel Paese. I media panarabi come l’emiratino al Arabiya rilanciano, alzano la voce dei manifestanti anche per sfruttare il tutto contro l’esecutivo voluto dall’Onu, rimasto ancora dopo cinque anni confinato nella Tripolitania. Un modo per spingere verso le istanze che Abu Dhabi difende, dunque. La Sparta mediorientale è infatti il motore diplomatico-militare della Cirenaica, dove il capo dei miliziani ribelli, Khalifa Haftar, da tempo tiene la regione sotto presa armata. Manifestazioni nei mesi scorsi ci sono state anche lì: le persone chiedevano lo stop della guerra per rovesciare il governo di Tripoli e il ritorno alla normalità.

Stanchi dei morti e dei sacrifici di cui soffrono da almeno un decennio, i libici vogliono la pace. E al rischio proteste in Cirenaica si legherebbe in parte anche la concessione di riaprire i campi petroliferi di un paio di settimane fa. Non una scelta verso il dialogo, invero, ma l’accettazione di pressioni arrivate dall’esterno (Usa, Germania, Italia, Egitto) e il rischio di esacerbare le tensioni interne, ha portato Haftar alla decisione. Oggi contro di lui arriva una nuova denuncia da parte del Gna: la sua milizia avrebbe compiuto “un vero e proprio attacco” contro il processo democratico locale a Taraghin, città nel Fezzan dove gli haftariani avrebbero chiuso fisicamente i seggi e impedito l’esercizio delle elezioni municipali.

“Tentativi per interrompere il processo democratico e la soluzione pacifica della crisi”, li definisce il Gna – che in questo momento deve difendersi dalle proteste dei suoi cittadini e da qull’eco che possono avere sullo scenario internazionale. Al Arabiya non a caso è stata la prima a scrivere giorni fa che durante le manifestazioni a Tripoli ci sono stati spari. Le forze del Gna avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti che si stavano dirigendo verso la sede del Consiglio presidenziale — organo onusiano creato per guidare il processo di consolidamento del governo, presieduto da Fayez Serraj (che è anche primo ministro del Gna). Le dinamiche di quanto accaduto non sono chiare, ed è possibile anche che qualcuno abbia deciso l’azione per creare imbarazzo attorno a Serraj.

Situazioni che si sono ripetute anche ieri, in Pizza dei Martiri, dove – secondo Sky News Arabia, che trasmette anch’essa da Abu Dhabi – le milizie tripoline avrebbero ferito con colpi d’arma da fuoco almeno sei manifestanti. Serraj alle strette ha creato una “cabina di regia” per gestire la risposta alle proteste. La paure evidente è che qualche milizia esca dal controllo (o per inavvertenza, o per dolo). Oggi il ministero dell’Interno guidato da Fathi Bashaga, politico misuratino affiliato alla Fratellanza, sostiene di aver individuato i responsabili di ieri. Secondo informazioni di Agenzia Nova sarebbe la Brigata al Nawasi, milizia ultra-conservatrice di Tripoli entrata da tempo in rotta di collisione con lo stesso Bashaga. Le proteste sfruttate come regolamento di conti interno. La missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sui vari fatti accaduti.

Il punto è che il premier, spiegano fonti qualificate, non ha troppo appeal tra la popolazione e nemmeno all’interno del Gna – dove si sarebbe creato un allineamento di politici misuratini che ha come obiettivo effettivamente lo spurgo dei sistemi corrotti nel cuore del potere tripolino e che sta da tempo spingendo per un “rimpasto nel governo”. Serraj ha accettato il percorso, ma ha anche annunciato che farà ricorso alla dichiarazione dello stato di emergenza e ai relativi poteri straordinari legati alle proteste. Una scelta che potrebbe scontentare diverse anime perché considerata troppo unilaterale.

Sarraj si è detto pronto a riformare il Consiglio presidenziale ove vi fosse un accordo con la Camera dei rappresentanti di Tobruk (il foro legislativo della Cirenaica guidato da Aguila Saleh) e l’Alto Consiglio di Stato (una specie di camera alta consultiva di Tripoli, presieduto da Khalid al Mishri). Su questi passaggi le tensioni interno ruotano attorno al adire vicepresidenti del Consiglio presidenziale, Ahmed Maiteeg di Misurata, e Abdel Salam Kajman rappresentante del Fezzan. I due non potrebbero essere d’accordo con decisioni troppo personalistiche di Serraj — con loro potrebbe esserci anche Bashaga.

Le proteste – su cui il Gna ha imposto quattro giorni di coprifuoco – in qualche modo delegittimano l’azione politica di cui il premier è protagonista ed esasperano ruggini interne. Il premier ha in effetti intrapreso la via del dialogo (posizione che, come nel caso di Haftar coi pozzi è frutto delle necessità, anche qui interne ed esterne). La scorsa settimana ha diffuso una dichiarazione sovrapponibile a quella del presidente del parlamento Saleh, che in Cirenaica è diventato ormai l’alternativa politica al militarismo indebolito di Haftar. Non è un caso se l‘ingigantimento delle manifestazioni anti-governative libiche — compreso gli spari contro la folla — sia rilanciato con forza dai medi emiratini allora.

Abu Dhabi non riesce a mollare Haftar, che da parte sua ha annunciato di non riconoscere l’iniziativa Serraj-Saleh come sincera, ma soltanto come spin politico per guadagnarsi il consenso degli sponsor internazionali come Onu, Usa, Ue. Haftar tramite il suo portavoce ha fatto capire di non fidarsi dei turchi, che assistono militarmente Tripoli, colpevoli di continuare il rafforzamento armato delle forze del Gna. Dei turchi non si fidano nemmeno gli emiratini, che per ricordare la loro posizione hanno inviato aerei militari per partecipare a un’esercitazione che ha come fine la deterrenza anti-Ankara ed è stata organizzata dalla Grecia.

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