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Auto elettriche, occhio all’ascesa cinese (ma l’Europa c’è)

Ecoincentivi

Il ranking stilato dalla sezione di Bloomberg che si occupa di analisi e ricerche sull’energia pulita sui nuovi materiali (BloombergNEF) suona l’allarme, svelando la progressiva scalata della Cina nell’industria delle auto elettriche: potendo contare su un pieno controllo delle supply chain delle batterie elettriche, Pechino ha scalzato dalle prime posizioni Giappone e Corea del Sud, leader del settore nella decade precedente.

“La mobilità è al cuore della civilizzazione moderna, e la modalità con cui persone e beni si spostano impatta molti aspetti della vita. I prossimi vent’anni porteranno cambiamenti significativi dal momento che l’elettrificazione, la mobilità condivisa, la connettività dei veicoli ed eventualmente i veicoli autonomi cambieranno il settore automotive e il mercato delle merci a livello mondiale”. È così che esordisce l’Electric Vehicle Outlook 2020. Secondo le proiezioni, entro il 2030 la flotta dei veicoli elettrici raggiungerà 116 milioni di unità, dai 8,5 milioni del 2020. Il mercato EV, che oggi conta solo il 2,7% delle vendite totali, raggiungerà il 28% e il 58% rispettivamente nel 2030 e nel 2050. La Cina potrà contare entro il 2025 di più della metà delle vendite globali, con un possibile recupero dei player americani, e soprattutto europei, entro il 2040.

Possibile, ma non scontato. E qui la variabile è la presa di Pechino sulle supply chain decisive. Il dominio della Cina è basato su una robusta domanda interna, pari a 72 gigawatt, sul controllo dell’80% della raffinazione dei minerali strategici (in particolare il litio), sul controllo del 77% della capacità produttiva globale di celle all’idrogeno e del 60% della manifattura di componentistica, secondo i dati riportati da BNEF. Il mercato globale delle batterie elettriche potrebbe valere, entro il 2030, circa 116 miliardi di dollari all’anno.

Kwasi Ampofo, analista che ha curato la sezione del rapporto sui battery metal, sostiene che gli importanti investimenti cinesi nei settori estrattivi e di raffinazione hanno conferito alla Cina un vantaggio competitivo su Giappone e Corea: “Altri Paesi che cercheranno di diventare attori dominanti nell’intera catena del valore potrebbero avere bisogno di supportare i settori più upstream” e allo stesso tempo “di formulare politiche che salvaguardino l’ambiente”.

La settimana scorsa la Commissione europea, come raccontato da Formiche.net, ha aggiornato la lista dei minerali strategici, essenziali per nutrire le sue ambizioni di riconversione ecologica attraverso gli investimenti previsti dal Green New Deal. Il piano è quello di costruire un’alleanza europea per le materie prime, per allentare la morsa di Pechino sulle supply chain di grafite, litio, cobalto, vanadio e bauxite. “L’era di un’Europa conciliante o naïf che dipende da altri per difendere i suoi interessi è finita”, aveva rimarcato il commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton.

James Frith, che si è occupato di energy storage nel rapporto, sottolinea come il prossimo decennio sarà decisivo e interessante per la nascita di campioni occidentali nel settore delle batterie elettriche. Tuttavia, “mentre l’Europa sta lanciando alcune iniziative per catturare di più le catene del valore, gli Stati Uniti sembrano più lenti a reagire su questo punto”. Le proiezioni in questa direzione sembrano infatti suggerire un potenziale duopolio sinoeuropeo: i due mercati potrebbero vantare, entro il 2030, il 72% delle vendite di auto elettriche, “grazie alle regolamentazioni europee sulle emissioni di C02 e al sistema di credito cinese sugli EV”.

La proposta del candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden di una carbon border tax, in linea con la Commissione europea, potrebbe stimolare anche il mercato domestico statunitense, in un contesto transatlantico sempre più incline a favorire il reshoring di importanti stadi di produzione. Infatti, con la crescita della domanda di auto elettriche, è prevedibile che aumenti anche la richiesta di accorciare le supply chain di componentistica, come le batterie, e di ridisegnarle vicino ai centri di produzione automotive. Diminuendo così il rischio di disruption e aumentando gli incentivi per scalare le catene del valore.

Sophie Lue, esperta di metalli e di industrie minerarie, rileva nel rapporto come questa tendenza sia indotta da una duplice esigenza: trasformare l’abbondanza di risorse in valore aggiunto e attrarre investimenti nei settori downstream. “Fattori distintivi e chiave saranno l’impatto ambientale dell’industria, la disponibilità di elettricità pulita e a buon prezzo, una forza lavoro specializzata e incentivi sulla domanda di batterie. Questi fattori potrebbero essere ben più importanti di un monopolio su di uno specifico metallo”.

Ma non sarà così semplice. In un commento sempre su Bloomberg, vengono rimarcati potenziali implicazioni per la sicurezza nazionale americana ed europea di una supply chain delle batterie dominata dalla Cina, “una nazione capace di maneggiare gli export come strumento politico”. “Entro il 2025 la Cina avrà strutture con una capacità annuale di produzione di 1.1 terawatt all’ora, quasi il doppio del resto del mondo combinato”.

Che implicazioni potrà avere questo dominio? Lo spiega Peter Carlsson, amministratore delegato di Northvolt, compagnia svedese impegnata a costruire due impianti di produzione di batterie in Svezia e Germania. Se Unione Europea e Stati Uniti dovessero fallire, o meno, nell’assicurarsi una produzione domestica, “considerando che le batterie rappresentano il 40% del valore di un’auto elettrica, la differenza tra quei due scenari è enorme”.

Non si tratta soltanto di controllare fette di mercato ai fini meramente commerciali, ma di una questione di lungimiranza strategica oltre che politica per assicurare posti di lavoro, crescita sostenibile e guidare uno dei settori chiave nella corsa alle rinnovabili.

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