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Putin, Erdogan e Macron. Ecco gli interessi in gioco sul Nagorno Karabakh

Donald Trump, Vladimir Putin ed Emmanuel Macron mettono la firma per il cessate-il-fuoco in Nagorno Karabakh. In qualità di co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce che avrebbe dovuto risolvere la disputa negli ultimi 25 anni, i leader di Usa, Russia e Francia hanno chiesto la cessazione dell’ostilità, condannando l’escalation e mandando un chiaro messaggio al collega Recep Erdogan. Il presidente turco ha prontamente risposto definendo “inaccettabili” le richieste e ribadendo supporto incondizionato all’Azerbaijan “fino alla fine”, e cioè fino a quando Baku non si sarà ripresa tutti i territori contesi. È il preludio a un’escalation ancora più pericolosa.

LA DICHIARAZIONE

“Condanniamo nei termini più forti la recente escalation di violenze lungo la linea di contatto nella zona di conflitto nel Nagorno Karabakh”, scrivono Macron, Trump e Putin, che per un attimo sembrano mettere da parte le frizioni reciproche. “Chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità tra le forze militari competenti; chiediamo inoltre ai leader di Armenia e Azerbaijan di impegnarsi senza indugio a riprendere negoziati sostanziali, in buona fede e senza precondizioni, sotto gli auspici del Gruppo di Minsk dell’Osce”. L’appello trova la pronta sponda dell’Unione europea, con le parole dell’Alto rappresentante Josep Borrell impegnato in un colloquio sul tema con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.

L’INIZIATIVA FRANCESE…

L’azione dei tre presidenti nasce soprattutto dall’attivismo francese sul tema. Già nei giorni scorsi, durante il suo tour tra le Repubbliche baltiche, Emmanuel Macron aveva promesso un’azione del Gruppo di Minsk, accompagnando l’iniziativa con accuse forti nei confronti della Turchia. Tra Parigi e Ankara i rapporti sono già piuttosto tesi, complicati dalla crisi nel Mediterraneo orientale dove le ambizioni turche minacciano interessi francesi. Non è un caso che la Francia sia stato il Paese più determinato nel supporto alla Grecia, con tanto di nuovi accordi di forniture militari. L’escalation nel Caucaso meridionale ha offerto una nuova occasione a Macron per premere sulla Turchia, trovando sponda in una Russia per nulla intenzionata ad assistere a una guerra su larga scala.

… E L’ASSERTIVITÀ TURCA

Complice il nuovo atteggiamento turco sul Nagorno Karabakh. Di scontri tra forze armene e azere sulla linea di confine della regione contesa ce ne sono stati diversi negli ultimi anni. Rispetto al passato, la pericolosità della situazione attuale è determinata secondo gli esperti proprio da una postura differente di Ankara. Da sempre a supporto della causa di Baku sul Nagorno Karabakh, nelle occasioni precedenti la Turchia aveva comunque invitato ad abbassare la tensione. Ora invece Erdogan ha offerto supporto totale “fino alla fine”, fornendo i propri mezzi militari, tra cui caccia F-16 e i droni Bayraktar, già dimostratisi capaci di cambiare un conflitto abituato a lento logoramento di posizione e ad assetti di generazione sovietica.

IL PUNTO DI ERDOGAN…

Ad ora la dichiarazione dei co-presidenti del Gruppo di Minsk non sembra avere intaccato la determinazione turca. Le richieste dei tre presidenti sono “inaccettabili”, ha detto Erdogan oggi di fronte al Parlamento turco, rispolverando il vecchio motto che lega Ankara a Baku: “Due Stati, una sola nazione”. Il leader turco anzi rialza la tensione, definendo l’Armenia “uno Stato canaglia” ed evidenziando l’inefficienza del Gruppo di Minsk: “Presieduto da Stati Uniti, Russia e Francia, non è stato in grado di risolvere la questione del Nagorno Karabakh per trent’anni”.

… SUL GRUPPO DI MINSK

Effettivamente, il Gruppo di Minsk non ha certo la fama del grande risolutore di crisi. Dopo i primi violenti scontri tra armeni e azeri che seguirono la dissoluzione dell’Urss, l’Osce decise nel 1992 di riunire a Minsk una conferenza dedicata specificatamente al conflitto del Nagorno Karabakh. La conferenza non fu mai organizzata a causa del forte disaccordo tra le parti e così due anni dopo si optò per la formazione di un Gruppo, a composizione ristretta (dai 55 membri Osce a 11), composto dai rappresentanti di Stati Uniti, Russia, Francia, Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia oltre a Armenia e Azerbaigian. Tre anni dopo, nel 1997, sempre per la palese difficoltà a risolvere la situazione, il Gruppo di Minsk abbandonò la presidenza a rotazione a favore della co-presidenza di Russia, Francia e Stati Uniti. Da allora, nonostante alcune proposte, è mancato sempre l’accordo tra le parti sullo status da attribuire al Nagorno Karabakh, anche in virtù dello scarso interesse internazionale a modificare lo status quo.

… LE CONDIZIONI DI BAKU

Le condizioni di Erdogan sono uguali a quelle ribadite oggi dal presidente azero Ilham Aliyev: “Il ritiro incondizionato delle Forze armate armene dai territori occupati”. In altre parole, forte del supporto della Turchia, Aliyev spera di ottenere il massimo possibile, e cioè la restituzione del Nagorno Karabakh e degli altri distretti occupati dall’Armenia con il conflitto del 1994 (che assicurano collegamento diretto tra Yerevan e Stepanakert). Aliyev ha detto di voler “ristabilire la giustizia storica”, risvegliando la narrativa tipica sulla regione contesa che si muove nella lettura (comunque parziale) degli eventi degli ultimi secoli (qui un focus sulle origini del conflitto). Le dichiarazioni di Aliyev risolvono intanto il botta-e-risposta sull’attribuzione di responsabilità per gli scontri di questi giorni. L’Azerbaijan sembrerebbe in altre parole non avere più interesse a nascondere che tutto è partito dalla sua offensiva.

RICHIESTE DA YEREVAN

Anche per questo Yerevan torna a fare appello alla comunità internazionale. L’Armenia è interessata al ripristino di uno status quo (che resisteva dal 1994 nonostante alcuni scontri a bassa/media intensità) che assicura la sopravvivenza dell’autoproclamato Stato del Nagorno Karabakh. Il premier armeno Nikol Pashinyan ha parlato oggi via Twitter del “coinvolgimento da parte dell’alleanza azerbaigiano-turca di combattenti terroristi stranieri”. È una carta, quella dell’afflusso al conflitto di jihadisti filo-turchi, con cui Yerevan spera di incrementare la pressione internazionale su Ankara. “L’Artsakh (nome con cui gli armeni si riferiscono al Nagorno Karabakh, ndr) è diventato una prima linea di civiltà; sta combattendo contro il terrorismo internazionale”, ha detto Pashinyan.

LE PREOCCUPAZIONI DI MOSCA

Le parole del premier armeno trovano riscontro a Mosca. Il ministero degli Esteri russo si è detto “preoccupato” per le notizie sul dispiegamento di mercenari appartenenti a gruppi armati illegali provenienti da Siria e Libia nella zona di conflitto. Notizie che l’ambasciatore dell’Azerbaigian in Russia, Polad Bulbuloglu, si è affrettato a smentire, definendole “completamente false” e negando anche che bombe azere “siano cadute nel territorio armeno”. Per Mosca il conflitto in Nagorno Karabakh si sta rivelando una questione complicata. Ha interesse a mantenere lo status quo pre-scontri, e teme che un’escalation ancora maggiore la costringa all’intervento difensivo in favore dell’Armenia come previsto dagli accordi dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo (Csto). Per questo cerca di fare massa critica con gli appelli di mezzo mondo in favore della de-escalation, sebbene sulle credenziali internazionali pesino il caso Navalny e le vicende in Bielorussia, nonché una posizione ambivalente con l’Azerbaijan (per cui rappresenta il secondo fornitore di armi).

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