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Così gli Usa vogliono fermare la Cina nell’Indo-Pacifico

Il documento strategico con cui gli Usa si sono mossi, e presumibilmente si muoveranno, nell’Indo-Pacifico indica una chiara direzione di contenimento della Cina attraverso la creazione di una grande infrastruttura di alleanze regionali

Qualche giorno fa, il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Robert O’Brien, ha annunciato di aver declassificato un report del 2018 in cui l’amministrazione Trump espone la sua strategia nell’Indo-Pacifico, il più nevralgico dei teatri strategici in cui si snoda il confronto geopolitico globale tra Washington e Pechino. Il sito di informazione Axios, sempre tra i più informati e autorevoli negli Usa, ha ottenuto per primo una copia del documento, che ora è online sul sito della Casa Bianca, e quello che ne esce è interessante perché dà conferme ad analisi che anche Formiche.net sta pensando da tempo basandosi sul flusso dei fatti in divenire.

Si parla per esempio di “accelerare l’ascesa dell’India“, impedire alla Cina di stabilire “sfere di influenza illiberali” e mantenere “il primato strategico degli Stati Uniti” nella regione. Adesso è tutto nero su bianco, e a firma dell’amministrazione statunitense: un piano che passa dall’implementazione del Quad – l’alleanza tra Giappone, Usa, India e Australia – alla costruzione di un’infrastruttura di sicurezza e influenza strategica come un arcipelago nell’area (una Nato Asiatica?), sfruttando anche controversie in corso (come quelle sulla pesca o le rivendicazioni territoriali sul Mar Cinese), per contenere l’ascesa cinese in un territorio che Pechino sente alla stregua di un cortile domestico. E per questo non accetta ingerenze, ma vorrebbe un controllo egemonico.

“La declassificazione del framework dimostra, con trasparenza, gli impegni strategici dell’America nei confronti dell’Indo-Pacifico e dei nostri alleati e partner nella regione”, ha scritto O’Brien nel memo che ha accompagnato la decisione amministrativa – rendere pubblico il pensiero strategico, secondo una lettura meramente politica, potrebbe rientrare anche tra quei lasciti che l’attuale amministrazione vuole imporre come eredità in politica estera per il Paese in modo da segnare la successione.

L’operazione geopolitica, che trova le sue limitazioni nelle attività che la Cina stessa sta compiendo, è però parte di quelle attività che difficilmente cambieranno di senso e direzione nel passaggio dall’amministrazione rivoluzionaria di Donald Trump a quella più classica del democratico Joe Biden. Il documento, in dieci pagine, spiega l’approccio a rivali secondari come Corea del Nord e agli alleati con cui stringere ancora di più i rapporti come l’India – che in questi ultimi mesi del 2020 sta rimodellando il proprio pensiero riguardo all’agire strategico, come il Giappone d’altronde. Washington, secondo il report strategico, ha intenzione di aumentare il rapporto militare, diplomatico e di intelligence con New Delhi.

Obiettivo tra i principali è creare un “ordine economico liberale” nella regione e lavorare per “vaccinare” gli Stati Uniti e i loro partner contro le attività di intelligence della Cina, tema su cui però il Partito/Stato recentemente s’è portato avanti con la costruzione del Rcep, l’accordo economico del Sudest asiatico. Accordo che ha aggregato “Paesi che finora non avevano avuto opportunità di unirsi” come ha spiegato su queste colonne Alessia Amighini dell’Ispi, e “isola gli Usa, che volevano invece isolare la Cina” (costruendo a loro volta un accordo multilaterale anti-Cina nell’area, il Tpp, che però Trump ha stracciato).

Tra le varie spunte al grande piano, costruire un “consenso internazionale sul fatto che le politiche industriali e le pratiche commerciali sleali della Cina stanno danneggiando il sistema commerciale globale”; allargare il controspionaggio per contrastare le attività di intelligence della Cina, espandendo la condivisione reciproca di informazioni con gli alleati (le voci del Giappone come sesto occhio del 5Eyes sono in questo quadro); sviluppare strategie di guerra militare e asimmetrica per aiutare Taiwan nelle sue controversie di lunga data con la Cina; lavorare con alleati e partner per cercare di “impedire l’acquisizione cinese di capacità militari e strategiche”.

Abbinati a queste, ci sono le x, ossia gli obiettivi non raggiunti. Per esempio, il miglioramento delle relazioni tra Washington e il blocco Asean: argomento messo in discussione già dalla fine del Tpp, attaccato dal Rcep, e complicato dall’atteggiamento di neutralità che alcune nazioni intendono tenere rispetto al confronto Usa-Cina (vedere per esempio l’Indonesia o la Cambogia). Axios fa notare che anche l’idea di spingere i benefici della democrazia contro l’autoritarismo cinese come narrazione con cui muovere influenza tra i Paesi dell’area rischia, dopo i fatti di Capitol Hill, di venire meno. È un commento più velenoso che realistico probabilmente, sebbene il tentato attacco al potere dei fanatici di destra un danno diretto l’ha fatto: ha portato alle dimissioni Matt Pottinger, vice-consigliere per la Sicurezza nazionale e una delle menti dietro al documento strategico per l’Indo-Pacifico.

(Foto: Navy.mil)

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