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Da Sigonella a Gheddafi, George Schultz visto da Andreotti

Con la morte dello stratega ed ex Segretario di Stato americano George Schultz, fedelissimo di Reagan e tra gli artefici della fine della Guerra Fredda, va via anche un pezzo della Prima Repubbblica italiana. Il suo rapporto con l’Italia rivive nei ricordi di Giulio Andreotti, con cui ebbe un lungo sodalizio. Da Sigonella a Gheddafi, ecco tutte le crisi risolte insieme

Gli Stati Uniti piangono la morte di George Schultz, iconico stratega americano, segretario di Stato con Ronald Reagan, scomparso all’età di 100 anni dopo una vita al servizio delle istituzioni. Ma ad andarsene insieme a una delle più influenti figure della politica a stelle e strisce è anche un pezzo della Storia repubblicana italiana.

I necrologi che si affastellano in queste ore sulla stampa internazionale rendono onore all’uomo che ha scritto una pagina indelebile del ’900. Se, come disse all’epoca Margaret Thatcher, Ronald Reagan ha davvero vinto la Guerra Fredda con l’Urss “senza sparare un colpo”, si deve anche alla maestria di Schultz nei suoi sette anni a capo del Dipartimento di Stato, dal 1982 al 1989.

Ebbene il lungo trascorso del più fedele stratega di Reagan a Foggy Bottom dopo esser stato, negli anni precedenti, segretario del Lavoro, del Bilancio e del Tesoro con Richard Nixon, coincise con un momento di grande protagonismo dell’Italia sulla scena internazionale. E con un grande protagonista della politica italiana alla guida degli affari esteri: Giulio Andreotti.

Nei sette anni al timone della Farnesina (1983-1989) il leader Dc ha coltivato un rapporto personale franco e schietto con Schultz, non privo di qualche turbolenza dovuta alle circostanze.

Due carriere e vite che non potevano essere più diverse. L’uno politico nel Dna fin dagli anni della gioventù, attore di primissimo piano della ricostruzione italiana e della fondazione repubblicana. Schultz cresciuto nell’accademia (con una parentesi nei Marines, durante la Seconda Guerra Mondiale), fra Princeton, Chicago e l’Mit, e giunto solo in un secondo momento al servizio pubblico.

Il rapporto fra i due statisti fu legato a doppio filo dal lungo e felice sodalizio che intercorse fra Andreotti e Ronald Reagan, un presidente che in un variopinto ritratto sulla sua rivista Trenta Giorni il “Divo” ha definito “un vero capolavoro di umiltà e di saggezza”.

Le ottime relazioni personali con il presidente non furono esenti da alcuni scossoni che gli anni ’80 inferirono ai rapporti fra Italia e Stati Uniti. In questi momenti di “crisi” era proprio alla saggezza e all’esperienza di Schultz e Andreotti che la Casa Bianca e Palazzo Chigi, prima con Bettino Craxi e poi con Fanfani, Goria e De Mita, si affidavano per trovare una via d’uscita.

Il caso più clamoroso e noto resta la crisi di Sigonella nell’ottobre del 1985. I fatti sono noti: il sequestro della nave Achille Lauro da parte di 4 terroristi palestinesi, la mediazione con l’Olp di Arafat, l’assassinio di un cittadino americano a bordo, Leon Klinghoffer, e dunque il dirottamento americano di un aereo egiziano che portava i terroristi (cui era stata garantita l’immunità) a Tunisi nella base aerea di Sigonella, dove il governo italiano si rifiutò di cedere alle forze speciali Usa i criminali processandoli invece in patria.

Meno noto è il febbrile lavorio di Andreotti e Schultz per scongiurare fino all’ultimo una frattura totale dei rapporti fra Italia e Stati Uniti. Mentre Craxi riceveva al telefono un infuriato Reagan, il Dc cercava di portare a miti consigli il collega e amico al Dipartimento di Stato.

Tenne il punto, e per mesi il braccio di ferro si ripercosse sui rapporti con la Casa Bianca e il Segretario di Stato. Racconta Andreotti nelle sue memorie di un suo incontro a poche settimane dalla crisi. L’occasione era data dalla ministeriale Nato a Bruxelles. Al ministro italiano Schultz concesse trenta minuti, non uno in più. “Era scuro in volto… Il governo italiano aveva rilasciato un notorio terrorista coinvolto nell’assassinio di un cittadino americano: un fatto inconcepibile e inesplicabile. Non dissimulava la forte irritazione (very upset) del governo di Washington”.

La liberazione di Abu Abbas, il terrorista responsabile dell’assalto all’Achille Lauro, non fu digerito a Washington Dc. Ma l’instancabile mediazione di Andreotti, facilitata dall’amicizia con l’ambasciatore americano in Italia Maxwell Milton Rabb e con l’ambasciatore all’Onu Vernon Walters, riuscì infine a ricucire lo strappo prima del previsto.

Un mese dopo, alla riunione dei leader occidentali a New York, i due capi della diplomazia americana e italiana si rincontrarono in un clima disteso. “Reagan era rimasto nei giorni precedenti solo e venne all’incontro estraendo dalla tasca un foglietto. Notammo in Schultz e negli altri che non ne conoscevano il contenuto una sensibile apprensione. Non era una delle schede preparate dagli uffici. Con voce commossa Reagan ce lo lesse. Non sapeva se Gorbaciov facesse e potesse fare sul serio la grande apertura, ma nessuno doveva avere dinanzi alla propria coscienza e dinanzi alla storia la responsabilità di non averlo accertato”.

Negli anni a venire i contatti e la consuetudine fra i due si intensificarono. Ma non mancarono di nuovo confronti di grande schiettezza. Nel marzo 1986, quando Schultz intraprese un tour europeo per convincere gli alleati della bontà dell’attacco americano contro il generale libico Muhammar Gheddafi, Andreotti non fece mistero delle sue remore, protestando perché l’Italia non era stata avvisata prima dell’offensiva nel Golfo della Sirte.

Due anni dopo, nel novembre del 1988, fu ancora Andreotti a chiedere pubblicamente a Schultz di concedere il visto di ingresso negli States ad Arafat per permettergli di partecipare alla sessione Onu. “Mi dispiace che si carichi tutto questo su Shultz, un uomo che ha sempre cercato di far molto per avvicinare le posizioni. Spero, e c’ è tempo fino al 20 gennaio prima che torni a vita privata, che possa fare una conclusione meravigliosa della sua opera riuscendo a disinnescare queste mine”.

Come tutti i protagonisti della Storia incontrati nella vita, anche Schultz si è meritato un ritratto “visto da vicino”. Nel suo libro sugli Stati Uniti (“Gli Usa visti da vicino”, Rizzoli) Andreotti tratteggia il grande diplomatico in modo non dissimile a come è ricordato sulla stampa americana al momento della sua scomparsa: diretto, inflessibile, ma anche cordiale, amichevole, leale.

Non è allora un azzardo dire che con Schultz se ne va un pezzo di Prima Repubblica. Pagine indelebili della Storia, e anche qualche aneddoto di colore, che vale la pena richiamare. Uno è raccontato da George Bush nel suo libro “All the best”, e vede Schultz e Andreotti al centro di un simpatico siparietto rimasto impresso nella memoria del Dc.

“Un giorno Andreotti entrò nello Studio Ovale della Casa Bianca, dove lo aspettava Reagan. Il Segretario di Stato George Shultz, che lo accompagnava, si accorse che aveva i pantaloni aperti, e gli bisbigliò di chiuderli. Andreotti parlava poco l’inglese, ma capì al volo. Sorpassò il presidente, e si fermò davanti al celebre ritratto di George Washington dipinto da Gilbert Stuart voltandoci le spalle, come se volesse esaminarlo. Quindi, senza apparente segno di imbarazzo, si tirò su la chiusura lampo”. A suo modo un’altra, piccola “crisi” scampata insieme.

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