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Irpef, ma non solo. La riforma fiscale che serve all’Italia secondo Giacomoni

Il deputato, presidente della Commissione di vigilanza su Cdp, spiega a Formiche.net senso e natura della proposta di legge targata Forza Italia. Troppi cinque scaglioni Irpef, serve una rimodulazione che ponga al centro il ceto medio. Ed è ora di una seria opera di disboscamento fiscale

Ora che l’Italia si è guadagnata un biglietto di sola andata per il treno della ripresa (Pil 2021 a +4,2%, secondo la Commissione europea) è tempo di una riforma fiscale che accompagni il Paese verso l’uscita definitiva dal tunnel. Sono mesi che prima con Giuseppe Conte, ora con Mario Draghi, si discute di un riassetto fiscale che parta dall’Irpef, l’imposta sulle persone fisiche che oggi poggia su cinque scaglioni di reddito con altrettante aliquote, dal 23 al 34%. L’obiettivo del governo, che nel Pnrr ora all’esame di Bruxelles ha previsto un intervento sull’Irpef, sarebbe quello di ridurre gli scaglioni da 5 a 3, con l’obiettivo di dare ossigeno al grosso dei contribuenti Irpef, il ceto medio.

Perché, qui sta il problema, c’è troppo squilibrio tra i bacini di contribuenti riconducibili alle cinque fasce di reddito. Vale per tutti un esempio. Tra il secondo e quarto scaglione (15-55 mila euro annui) risiede il 50% dei contribuenti Irpef italiani, i quali versano quasi il 60% dell’intero gettito Irpef nazionale. Naturale immaginare una migliore distribuzione che riduca la pressione sul ceto medio. In queste ore Forza Italia ha depositato la sua proposta di legge di riforma, per mezzo di Sestino Giacomoni, deputato azzurro, membro della Commissione Finanze e presidente della Commissione di vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti. E proprio Giacomoni spiega a Formiche.net natura, senso e mission di una riforma fiscale cucita su misura per un Paese reduce dalla peggiore crisi dal 1945 ad oggi. E che non si fermi alla sola Irpef.

Giacomoni, sono anni che in Italia si dibatte di riforma fiscale. Ci voleva la pandemia per convincerci che non possiamo più aspettare?

Temo di sì. L’Italia ha bisogno più che mai di una riforma fiscale che abbia come stella polare la crescita per creare ricchezza e recuperare in fretta ciò che è stato perso, riuscendo così anche a restituire i debiti contratti. Sia chiaro, non si può, né si deve ancora parlare di riforma fiscale in senso meramente redistribuivo perché sarebbe il colpo di grazia al ceto medio.

Dunque, da dove si parte?

Il modello di tassazione iper-progressivo che abbiamo non ha certo ridotto le disuguaglianze economiche e sociali, ma ha soltanto tolto la voglia di lavorare e produrre agli italiani. Per questo va introdotta una rimodulazione degli scaglioni con una riduzione delle aliquote: Lo scaglione centrale deve modularsi, secondo noi, come una flat tax del ceto medio, per dare ossigeno a tutti e in particolar modo proprio alle fasce intermedie.

Guardando alla vostra proposta di riforma presentata in Commissione Finanze, quali sono i cardini?

La riforma fiscale è la madre di tutte le riforme, la base su cui edificare una politica economica che punti realmente alla crescita e allo sviluppo del Paese, alla valorizzazione del Made in Italy, alla patrimonializzazione delle imprese e alla creazione di posti lavoro. I punti cardine della nostra proposta si basano sui principi storici di Forza Italia: meno tasse sulle famiglie, sulle imprese e sul lavoro e soprattutto su una drastica semplificazione del sistema fiscale, indispensabile per avere una maggiore facilità di controllo e una lotta più efficace all’evasione.

In che modo è possibile disboscare la giungla fiscale italiana?

Riteniamo fondamentale l’abolizione dell’Irap, l’imposta rapina, che incide sui costi, inclusi quelli relativi al lavoro. E diciamo no all’introduzione di nuove patrimoniali sulla casa o sul risparmio, che anzi andrebbe incentivato fiscalmente per essere indirizzato verso l’economia reale, rafforzando così la patrimonializzazione delle nostre imprese. Sarebbe anche opportuno incentivare le aggregazioni professionali e rivedere le procedure di accertamento e di riscossione.

Giacomoni, la pandemia ha riscritto gli equilibri del tessuto economico italiano. Il ceto medio  ha certamente resistito, ma ne esce comunque molto indebolito. Quale un fisco a misura di ripresa?

Il nostro Paese è un malato cronico, con bassa crescita e un debito pubblico monstre. Su questo scenario già debole si è innestata la pandemia. Oggi, dopo la drammatica
crisi finanziaria del 2009 e la devastante pandemia sanitaria, economica e sociale del Covid 19, l’Italia ha bisogno più che mai di una riforma fiscale che abbia come stella polare la crescita. E crescita vuol dire creare della ricchezza e posti di lavoro, per recuperare in fretta tutto quello che è stato perduto in questi mesi di chiusure forzate delle attività economiche.

Quindi serve un cambio di paradigma…

Sì perché il quadro che abbiamo di fronte non è più quello dei primi anni 70 quando furono introdotte l’Iva e l’Irpef e soprattutto quando le parole d’ordine della riforma fiscale erano redistribuzione e progressività. Ora che la pandemia ha riscritto gli equilibri del tessuto economico e sociale, occorre ripensare il Sistema Paese e quindi anche il sistema fiscale.

La revisione degli scaglioni Irpef sono per molti il pilastro di una buona riforma. Però forse bisogna andare oltre. Oppure no?

Una riforma fiscale non può limitarsi ad una riforma dell’Irpef, ma deve essere una riforma complessiva del fisco, che miri alla crescita e non alla redistribuzione, che spesso è nemica dello sviluppo e anche dell’equità. La riforma fiscale passa innanzitutto attraverso una semplificazione delle norme che concorrono a formare il sistema, a vantaggio anche di un controllo più facile e di una più efficace lotta all’evasione. Ad oggi, il modello progressivo di tassazione dei redditi è definito da scaglioni e aliquote tali per cui il passaggio tra i redditi bassi e redditi medi non limita le diseguaglianze economiche e sociali tra i cittadini, bensì riduce sia l’utilità marginale dell’attività lavorativa e della produzione, sia l’utilità marginale degli aumenti salariali.

E passare da cinque a tre, o meno, scaglioni può essere una soluzione sensata per il problema?

Sì. Perché, pur non riuscendo ad introdurre, come avremmo voluto, un’aliquota unica, uguale per tutti, perché facciamo parte di un governo di unità nazionale, sostenuto da una maggioranza con sensibilità diverse, dobbiamo però puntare almeno ad una rimodulazione degli scaglioni con una forte riduzione del numero delle aliquote e con una No Tax Area più ampia. La riforma fiscale, concepita come ricostruzione ex novo, presuppone ovviamente una pace fiscale, che consentirebbe un sollievo per famiglie ed imprese ed entrate certe per l’erario.

I tempi sono maturi, insomma. Percepisce la stessa sensibilità nel governo?

Diciamo che l’Italia oggi ha una grande opportunità e chi la governa ha quindi una ancor più grande responsabilità. Ci giochiamo tutto nei prossimi mesi e con i prossimi provvedimenti, a partire proprio dalla riforma fiscale.

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