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Le regole sui bilanci servono, anche al Pil dell’Italia. Parla Angeloni

Intervista all’economista della Harvard Kennedy School, ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce. Il rigore non tornerà, ma i parametri di Maastricht hanno ancora un senso e possono garantire Pil e finanze in ordine ai Paesi membri. E poi in Germania sinistra, Verdi e liberali non vogliono la revisione dei trattati…

Il varco è stato ormai aperto. Ursula von der Leyen ha mandato un messaggio sufficientemente chiaro a quei Paesi, Austria in testa, che sognano un ritorno delle vecchie regole di bilancio, non certo aggiornate alla pandemia e i suoi effetti catastrofici sull’economia. Quelle regole non possono tornare, non devono, perché il coronavirus ha stressato come non mai le finanze pubbliche.

Attenzione però, avverte  Ignazio Angeloni, economista alla Harvard Kennedy School, ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce proprio negli anni di Mario Draghi al vertice dell’Eurotower e con un passato in Bankitalia: non sarà un tana libera tutti, delle regole su debito e deficit ci saranno sempre. Insomma, rigore forse no, ma vincoli sì. E chissà che le elezioni in Germania di fine settembre non siano in qualche modo decisive…

Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, von der Leyen ha imposto la necessità di nuove regole europee, aggiornate alla pandemia. Possiamo considerare tramontata la stagione del vecchio Patto di Stabilità?

Non mi sembra che il discorso del presidente della Commissione Europea contenga indicazioni precise su questo, al di là dell’auspicio, forse ottimistico, che un accordo sarà raggiunto presto.

Eppure quanto udito ieri aveva tutta l’aria di una svolta…

Certamente non si tornerà alle procedure pre Covid, giudicate da tutti complicate e inefficaci. Ma una sorveglianza europea sui conti pubblici rimarrà e Paesi indebitati come l’Italia sono i primi a trarne vantaggio. Su questo punto, una parte del dibattito italiano è fuorviante.

Cosa intende dire?

Senza una cornice europea, di cui quella sorveglianza fa parte, l’Italia sarebbe sola a gestire i rischi del suo debito pubblico enorme contro future crisi di mercato, che non sono affatto improbabili. L’importante è che le nuove regole siano realistiche e vengano seguite.

Angeloni, però alcuni Paesi, come l’Austria, sognano un ritorno di Maastricht nella sua applicazione più pura. Non lo trova surreale alla luce dell’attuale situazione e del fatto che le principali economie del Continente, Francia, Germania e Italia, abbiano un deficit abbondantemente oltre i parametri?

Un ritorno a Maastricht potrebbe invece proprio essere la via. Quelle regole sono scritte nel trattato, quindi sono state condivise da tutti e richiedono unanimità per essere cambiate. Sono regole semplici, al contrario di tutte le sovrastrutture introdotte negli anni successivi. Un deficit del 3% porta, se il prodotto nazionale cresce del 3-4% a prezzi correnti con un’inflazione al 2%, che è l’obiettivo Bce, a un debito tendenziale attorno al 90% del Pil. Un obiettivo ragionevole per noi, escludendo nuove crisi, e coerente colla posizione degli altri Paesi.

Sta dicendo che il Trattato di Maastricht è tutt’altro che superato?

Sì, ma un passo avanti sarebbe escludere dal calcolo certe categorie di investimenti NgEu, su cui c’è un vaglio europeo. Se poi la crescita economica fosse maggiore, come si sperava ai tempi di Maastricht, si potrebbe fare anche meglio sul debito, senza sforzo. La strategia vincente per l’Italia in questa fase non è mettersi di traverso nel negoziato o porsi obiettivi irrealizzabili, ma ridurre il debito gradualmente rimanendo in linea con l’Europa.

Parliamo della Germania, baricentro d’Europa. Il 26 settembre finirà ufficialmente l’era di Angela Merkel. Che cosa dobbiamo aspettarci dal voto tedesco? Prevede qualche impatto di sorta sulla politica monetaria della Bce, ormai prossima a un piccolo ma primo disimpegno?

I sondaggi indicano come possibile un governo di centro-sinistra (Spd), con partecipazione dei Verdi e possibile innesto dei liberali. Tutti e tre questi partiti sono contrari a regole fiscali eccessivamente restrittive, tipo schwarze-null, pareggio di bilancio ma nessuno dei tre, credo, punterebbe a rinegoziare il trattato.

Prevede qualche impatto di sorta sulla politica monetaria della Bce, ormai prossima a un piccolo ma primo disimpegno, dopo il voto?

La prospettiva di una pace fiscale di lunga durata in Europa aprirebbe spazi anche per la Bce, oggi condannata a tassi negativi e a politiche di acquisto di titoli non più efficaci. Migliorerebbe il cosiddetto policy-mix, la combinazione delle politiche fiscale e monetaria, a tutto vantaggio dell’economia europea. Ma tutto questo per ora è fantasia: bisogna attendere il 26 settembre per capire quali saranno le combinazioni di governo possibili.

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