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Come funziona il lavoro di cittadinanza proposto da Giorgetti

Il ministro dello Sviluppo economico ha ufficializzato la volontà di superare la misura simbolo del Movimento Cinque Stelle. Due, per ora, le ipotesi in campo: risorse girate alle imprese affinché assumano nuovo personale o a integrazione di stipendi bassi, a patto che si accetti un lavoro qualsiasi. A Mise comunque ci si ragiona…

Dal reddito di cittadinanza al lavoro di cittadinanza. Come dire, meglio generare ricchezza piuttosto che distribuirla con un assegno mensile, senza concreti aiuti all’occupazione, o quasi. Nei giorni caldi in cui si torna a mettere in discussione (al Tesoro si sta cominciando a scrivere la manovra d’autunno che a Bruxelles attendono entro il 15 ottobre) la creatura che fu del Movimento Cinque Stelle, il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti lancia una proposta che punta a modificare la natura del sussidio di matrice grillina, senza però cambiarne la missione: aiutare le persone a ridosso della soglia di povertà a sopravvivere.

L’occasione è arrivata con il Salone del Mobile di Milano. Da quel palcoscenico, il numero due della Lega ha lanciato la sua personalissima idea per superare una misura che a detta di Giorgia Meloni è un autentico metadone di Stato e che per questo andrebbe abolito, suscitando le ire dell’ex premier, Giuseppe Conte, pronto ad alzare le barricate pur di difendere l’integrità del reddito. Ma come si può andare oltre il reddito di cittadinanza senza venire meno all’obiettivo di sostenere chi è in difficoltà?

In realtà al ministero dello Sviluppo, trapela da Via Veneto, non è ancora partito nessun tavolo tecnico con il quale strutturare la proposta, nonostante lo stesso vicesegretario del Carroccio abbia fornito la filosofia di fondo a quello che ha tutta l’aria di essere un cambio radicale di paradigma. “Dobbiamo cominciare a ragionare di lavoro di cittadinanza. La Costituzione italiana recita che è il lavoro che ci rende pienamente cittadini. Lo sforzo è di trasformare il reddito di cittadinanza in lavoro di cittadinanza”. Di qui una serie di ipotesi, unite da un unico filo rosso e cioè più che elargire denaro correndo il rischio di dare soldi anche a chi non li meriterebbe (i casi non sono mancati in questi mesi) è necessario creare le condizioni per garantire alle fasce deboli l’accesso al lavoro.

Un’ipotesi potrebbe essere per esempio quella di destinare direttamente alle aziende i fondi del reddito di cittadinanza per la formazione e le politiche attive del lavoro. In questo modo, le risorse finora destinate alla misura pentastellata ( 7,1 miliardi nel 2019, 8,05 miliardi nel 2020 e 8,3 miliardi nel 2021) potrebbero essere tranquillamente girate alle imprese affinché possano aumentare i volumi di assunzioni, oltre ad affinare le competenze dei dipendenti che in questo modo avrebbero molto più mercato di quanto non ne hanno ora. Una tema, questo, che si riallaccia anche a Industria 4.0, il cui canovaccio è proprio l’aggiornamento al mondo post-pandemico del lavoro.

Fin qui l’idea portante. Poi c’è un’alternativa che arriva da Forza Italia, ovvero l’imposta negativa sul reddito, ispirata dal deputato azzurro Sestino Giacomoni. Tutto sta nell’accettare anche un lavoro con una paga bassa, pur di iniziare a lavorare. Poi lo Stato, e qui entrerebbero in gioco i soldi pubblici, è pronto a integrare la differenza tra il salario mensile e i mille euro, secondo i calcoli di molti esperti la cifra minima affinché una persona possa vivere decorosamente. Si vedrà quale ipotesi risulterà vincente ma una cosa è certa, almeno per il momento: il reddito di cittadinanza corre il rischio di tramutarsi in qualcosa di diverso.

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