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Così si allarga il Patto sul metano in vista della Cop26

Ventiquattro Paesi si aggiungono all’impegno a trazione euro-americana per ridurre le emissioni di metano, gas serra molto più climalterante della CO2. Ecco perché può fare la differenza sulla strada verso la conferenza di Glasgow

Ventiquattro nazioni si sono unite al Global Methane Pledge, il patto a trazione europea e americana per tagliare un terzo delle emissioni globali di metano entro il 2030. Se rispettato, questo Patto potrebbe ridurre di 0,2° la temperatura del globo entro il 2050 – un risultato importantissimo considerando che si dovrà lottare per ogni decimale.

Con l’entrata dei nuovi Stati il Patto copre il 60% del Pil e il 30% delle emissioni di metano globali. Stando al Dipartimento di Stato americano, da oggi nove dei venti emettitori di metano più grandi al mondo sono parte del Patto. In più 20 gruppi filantropici hanno promesso di mobilitare oltre 200 milioni di dollari per sostenere questo sforzo.

Ne hanno dato l’annuncio l’inviato per il clima statunitense John Kerry e il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans in un evento congiunto lunedì, stando a Reuters. Si spera in un’espansione dell’iniziativa da qui alla Cop26 di Glasgow, la conferenza Onu sul clima che secondo gli scienziati rappresenta l’ultima chance di agire a livello globale per evitare gli scenari più catastrofici del cambiamento climatico.

C’era anche l’Italia tra gli otto Paesi (più l’Unione europea, ma non in rappresentanza dei Ventisette, bensì solo come Commissione europea) che hanno firmato il Patto lo scorso 17 settembre. Oggi si aggiungono, tra gli altri, Canada, Francia, Germania, Israele e Svezia, più una moltitudine di Stati africani, sudamericani e asiatici.

All’evento virtuale era presente anche la direttrice del Programma Onu per l’ambiente Inger Andersen, la quale ha identificato  la riduzione rapida delle emissioni di metano come la strategia più efficace per ridurre il riscaldamento globale a breve termine e mantenere a portata l’obiettivo di contenere il riscaldamento a 1,5°.

Focalizzarsi sulle emissioni di metano è una scelta strategica in questo senso. Si tratta di un gas serra ben più potente della CO2 (di circa 80 volte nel breve periodo, anche se resiste molto meno nell’atmosfera) ed è il secondo maggior responsabile – nonché causa di oltre un quarto – del riscaldamento del pianeta.

Secondo l’ultimo rapporto Ipcc, il metano ha contribuito per metà all’aumento netto di 1° rispetto ai livelli preindustriali. Ma la buona notizia è che intervenire sulle emissioni di metano può portare a risultati praticamente immediati. Prima si agisce, dicono gli scienziati leader sull’argomento, e più saranno efficaci le misure.

A differenza delle emissioni di CO2, quelle di metano si possono ridurre facilmente ed economicamente utilizzando la tecnologia esistente. Addirittura, stando all’Onu, l’80% delle misure da adottare per limitare la dispersione di metano da operazioni di estrazione possono essere implementate a costo zero.

Le termocamere più recenti sono in grado di identificare la dispersione del gas incolore persino dai satelliti in orbita. Possono essere facilmente impiegate per identificare ed eliminare le dispersioni dai pozzi di gas e dalle infrastrutture inadeguate. Ma non solo, dato che i maggiori emettitori di metano variano parecchio da Paese a Paese – per esempio, in Pakistan è l’agricoltura, in Indonesia sono i rifiuti.

La priorità è chiara a Bruxelles e Washington, che presenteranno a breve l’aggiornamento del Patto. “Gli Stati Uniti dovrebbero rilasciare le normative sul metano per petrolio e gas nelle prossime settimane”, scrive Reuters, “e l’Unione Europea presenterà una legislazione dettagliata sul metano entro la fine dell’anno”.

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