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Meno tasse sul welfare aziendale. Cosa bolle in manovra

La proposta per rendere strutturale l’innalzamento del tetto al valore dei benefit per i lavoratori, una somma da tenere fuori dal calcolo del reddito e dunque dalla portata del fisco. Perché puntare su un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro è la grande lezione della pandemia

Il welfare aziendale avanza in parlamento. La manovra da 30 miliardi con la firma di Mario Draghi è all’esame del Senato da un paio di giorni ma già si fa largo tra gli oltre 200 articoli della ex finanziaria una misura a sostegno del welfare per le imprese, ovvero la serie di benefit a carico dei datori di lavoro (dal pc all’asilo aziendale) con cui migliorare la vita dei dipendenti dentro e fuori il luogo di lavoro e dunque anche la produttività.

Fino a qualche anno fa il welfare aziendale era appannaggio di poche grandi imprese, ma grazie agli interventi normativi degli ultimi anni e, in particolare, al raddoppio della soglia dei fringe benefit, che consente di offrire welfare in maniera molto semplice, la sua diffusione sta crescendo anche tra le piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto produttivo del nostro paese.

Anche per questo a Palazzo Madama è stato presentato un emendamento a firma dei senatori Emilio Floris (Forza Italia, primo firmatario) e Roberta Toffanin, anch’essa tra le file azzurre e vicepresidente della commissione Finanze. L’emendamento, di cui Formiche.net è in grado di anticipare il contenuto, mira a defiscalizzare per gli imprenditori il valore dei benefit concessi dall’azienda al lavoratore, qualora non superino i 516 euro. L’obiettivo è rendere strutturale la misura già contenuta nel decreto Sostegni della scorsa primavera, che ha confermato fino a tutto il 2021 il raddoppio a 516 euro della soglia entro la quale beni e servizi riconosciuti ai lavoratori non concorrono a formare reddito dell’impresa (e dunque imponibile e suscettibile di tassazione), dai 258 euro originari. Ora si punta a superare tale termine temporale.

“All’articolo 51, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (il Testo unico sui redditi, ndr) l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 516,46.  Se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”, si legge nel testo dell’emendamento, che si riferisce all’articolo del decreto citato relativo ai redditi di impresa.

Lo scopo, si legge ancora, è “stabilizzare l’incremento, da 258 a 516 euro, dell’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dal datore di lavoro ai dipendenti (i fringe benefits, ndr) che non concorre alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 51, comma 3, del Testo unico dei redditi di impresa. Tale l’incremento era stato disposto, limitatamente ai periodi 2020 e 2021, dal decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 e dal successivo decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41. Si tratta, peraltro, di una proposta atta a sostenere maggiormente la diffusione di politiche di welfare aziendale nel sistema economico nazionale”.

Come spiega a Formiche.net la stessa Toffanin, “gli strumenti di welfare aziendale sono fondamentali, non solo come sostegno ai lavoratori e alle loro famiglie ma anche come veicolo per rimettere in moto l’economia. Si tratta di un modo per avvicinare l’azienda ai lavoratori, per creare un rapporto più umano, compito che non può essere assolto dalla retribuzione o dagli istituti accessori. E se l’impresa offre dei benefit ai propri dipendenti è giusto che ne ottenga la defiscalizzazione, come è giusto che i benefit corrispondano ad un valore adeguato che non può più essere quello previsto dal Tuir”.

“Già nel decreto sostegni abbiamo chiesto che almeno durante l’emergenza il limite massimo di esenzione passasse da 258 euro a 516. Ricordando che il welfare aziendale non concorre alla formazione del reddito ed è strumento di importante conciliazione vita-lavoro per il lavoratore. Con il senatore Floris, ho presentato un emendamento al decreto fiscale affinché questo limite diventi strutturale. Sarebbe un buon sistema perché oltre alla diffusione di politiche di solidarietà dovute in modo particolare al difficile momento storico che stiamo vivendo, si diffondesse maggiormente la cultura della sostenibilità sociale nel nostro sistema economico”.

Arianna Landi, consultant e project Coordinator della Community Cashless Society, The European House – Ambrosetti, spiega come “lo scenario occupazionale che ci ha lasciato in eredità il Covid-19 è caratterizzato da una maggiore fragilità del mercato del lavoro, soprattutto per giovani e donne, e nuovi paradigmi e aspetti valoriali nel modo di lavorare, legati allo smart working. Quest’ultimo in particolare è un aspetto destinato a permanere nelle abitudini di lavoro degli italiani: si stima che entro il 2025 la quota di lavoratori italiani in smart working potrà essere strutturalmente intorno al 25% per imprese di medio-grandi dimensioni (con punte fino al 40% per i servizi), allineandosi alle medie dei Paesi più avanzati (con una riduzione degli spazi di uffici di circa il -30%). In tale contesto, sono mutate anche le richieste di servizi di welfare aziendale: meno servizi per la mobilità ma più servizi per le dotazioni digitali e di connettività, acquisto di materiali per la casa e supporto alla spesa alimentare”.

“Il raddoppio della soglia di detassazione dei fringe benefit ha portato ad una forte accelerazione del mercato. Il fringe benefit rappresentano uno strumento di welfare molto semplice da utilizzare, in quanto vengono molto spesso “trasformati” in buoni acquisto e grazie al recente intervento normativo il numero di buoni acquisto erogati nel secondo semestre del 2020 è aumentato del 76,8% rispetto al primo semestre del 2020. Parallelamente all’aumento del numero dei buoni erogati, è aumentato anche il valore complessivo dei buoni, rappresentando un elemento-chiave per il sostegno ai consumi, fattore ancora più importante in un periodo di crisi economica”, spiega ancora Landi. Dunque, “ben venga quindi la decisione di raddoppiare la soglia per i fringe benefit che auspichiamo possa essere resa strutturale: secondo le stime di The European House – Ambrosetti, questa azione potrà attivare fino a 7 miliardi di euro aggiuntivi di consumi al 2023, generando anche benefici per le casse dello Stato fino a 1,5 miliardi di Euro di incassi Iva aggiuntivi”.

La deputata Romina Mura (Pd) spiega invece come “la strategia di politica economica e gran parte delle scelte che sono entrate nella manovra sono in sintonia e riflettono le priorità indicate dal Pd, anche se non vanno dimenticate né la natura composita della maggioranza con cui il governo deve confrontarsi né le istanze dialettiche di categorie e sindacati. Pensiamo che il lavoro del Parlamento potrà ancora raffinare aspetti puntuali di un documento così fondamentale. Siamo d’accordo sulle due priorità della riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori e dell’alleggerimento della pressione sulle piccole e medie imprese”.

E comunque “la riforma fiscale è fondamentale per innescare la trasformazione e il rilancio del Paese. L’intervento sugli ammortizzatori in senso universalistico rappresenta un primo significativo passo verso la ridefinizione del nostro sistema di protezione sociale e welfare, che per la prima volta coinvolge il tessuto delle imprese piccole e piccolissime. Vogliamo favorire le misure di welfare aziendale che rendono più pesanti le buste paga dei lavoratori, e così anche le misure che in pandemia sono state spesso fonte di sostegno e sostentamento per quel ceto medio che ha vissuto difficoltà anche pesanti e talvolta è rimasto fuori dagli interventi di sostegno pubblico”.

Infine il parere di Elena Murelli, deputata della Lega. “In una nuova quotidianità fatta di smart working ammortizzatori sociali e continui cambiamenti, il welfare offre risposte concrete alle esigenze delle persone e assume un ruolo centrale nella vita di imprese e dipendenti con enormi vantaggi per entrambi. Andando anche a sopperire la mancanza o scarsità di servizi offerti dallo Stato. Entra in gioco allora vedere i risultati della normativa attuata nell’art. 112 del cd. decreto Agosto e dall’art. Art. 6-quinquies del cd. Decreto Sostegni in cui sono stati aumentati ad euro 516,46, a fronte dei precedenti 258,23 euro, l’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall’azienda ai lavoratori dipendenti, i cosiddetti fringe benefit”.

Murelli chiarisce come “la misura ha innescato consumi aggiuntivi tra 1,6 e 2,5 miliardi di euro. Valore a cui corrisponde un volume Iva compreso tra i 346 e i 547 milioni di euro all’anno, maggior gettito di Iva che compensa, dunque, il mancato incasso dell’Irpef. A fronte di questi dati positivi è importante continuare sulla stessa strada e prolungare o addirittura stabilizzare questa misura che è stata già accolta con estremo favore dal mondo aziendale. Altro aspetto estremamente importante, l’incremento del limite del fringe benefit può divenire un’opportunità sotto il profilo economico per il sistema Paese e si stima che se la misura fosse stabilizzata, sarebbe in grado di generare fino a 7,0 miliardi di consumi aggiuntivi al 2023”.

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