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Quella doppia sveglia a Bruxelles in Libia e Sahel. L’analisi di Wechsler

L’esperto del think tank Atlantic Council: in Libia le elezioni causano instabilità, non il contrario, Usa disposti a un impegno limitato. Sahel? Sforzo francese poco apprezzato. Russia? I mercenari di Putin possono diventare un boomerang

Le ambizioni dell’Ue per una “autonomia strategica” si infrangono sulle coste della Libia, un Paese lacerato dalla guerra e ancora una volta pronto a sostituire le urne funerarie a quelle elettorali. Della nuova escalation che rischia di mandare in fumo i piani per la transizione democratica l’Europa ha qualche colpa, dice William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center dell’Atlantic Council. Anche in Sahel, dove i mercenari russi della Wagner si fanno strada, manca l’accenno di una strategia.

Partiamo dalla Libia. Le elezioni non sono mai state credibili?

Io credo di sì. C’è tanta gente che vuole davvero una stabilizzazione del Paese. Ma le elezioni sono il risultato, non la causa della stabilità. E la Libia oggi è molto lontana da questo obiettivo. È ormai chiaro che organizzare elezioni in questo Paese aumenta la violenza piuttosto che prevenirla.

Un fallimento per l’Europa delle grandi conferenze?

L’approccio europeo alla Libia ha due problemi. Il primo: per l’Europa la Libia non è una priorità, o almeno non abbastanza. Con buona pace delle conferenze, i Paesi membri, a partire da Francia e Italia, sono divisi sul da farsi. Il secondo: considerare le elezioni democratiche come un prerequisito per la sicurezza, quando è vero il contrario. Non a caso Paesi esterni come Turchia e Russia, con minimo sforzo, hanno messo radici dopo in questi due anni di violenze.

Si parla da anni di un impegno degli Stati Uniti, che per ora rimane sulla carta. Quanto si parla di Libia a Washington?

Non abbastanza. Bisogna riconoscere che il Nord Africa non sarà mai importante per gli Stati Uniti quanto lo è per l’Europa. Alcune cose però sono cambiate. Rispetto all’era Trump questa amministrazione ha un approccio diplomatico più professionale. Due anni fa avevamo un presidente che, lasciando di stucco i suoi collaboratori, decideva di telefonare ad Haftar.

Anche il Sahel ribolle. L’operazione francese Barkhane è stata un fallimento?

Tutt’altro, in questi otto anni la Francia ha fatto un grande lavoro in Sahel. Come buona parte della comunità internazionale non apprezza abbastanza lo sforzo degli Stati Uniti per difendere dal terrorismo se stessi e gli alleati nel mondo, così l’Europa non ha capito a fondo la missione francese.

Che ora si sposta a Sud, lasciando il Mali nelle mani dei mercenari russi.

Sarei cauto sulla riuscita dell’operazione Wagner, restano molte incognite. I Paesi che sperano in un ruolo costruttivo di questi mercenari si illudono. In America gli esperti della Difesa e l’intelligence hanno capito da tempo i rischi di affidarsi a queste figure.

Perché?

Perché con loro è facile fare soldi, aprirsi un varco nell’economia di altri Paesi. E negare qualsiasi legame ufficiale se le cose andassero male.

L’Opa di Putin sull’Africa saheliana andrà in porto?

Di certo Putin ha poco da perdere, vede solo i lati positivi della vicenda. Grazie alla Wagner in Mali la Russia farà affari, estenderà la sua influenza nella regione senza rischiare perdite e danni reputazionali che di solito seguono un intervento con forze convenzionali. Per di più è un modello collaudato da anni, in Libia, in Siria e in Medio Oriente.

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