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Incendi e pompieri. Stronski (Carnegie) su Draghi e l’Ucraina

L’Italia di Mario Draghi “può fare la differenza” per trovare una mediazione fra Russia e Ucraina. Paul Stronski, esperto del think tank americano Carnegie, spiega le linee russe di Putin nell’Est-Europa. Che passano (anche) da Roma

Una responsabilità da cui non si può sfuggire. Secondo Paul Stronski, ricercatore ed esperto di Russia del think tank americano Carnegie con un trascorso nell’intelligence e nella diplomazia americana, l’Italia di Mario Draghi può e deve giocare un ruolo decisivo per evitare un conflitto militare con la Russia nell’Est-Europa.

Siamo davvero vicini a uno scontro?

La tensione è altissima, senza precedenti nel recente passato. Da parte russa c’è anche un’escalation di retorica. Il Cremlino ha spostato le sue linee rosse.

Dove?

Molto più in là. In ballo non c’è solo l’appartenenza dell’Ucraina alla Nato, peraltro improbabile. In ballo c’è la sicurezza europea. In Russia i media suonano i tamburi di guerra, preparano la popolazione a qualsiasi scenario. I rapporti con Kiev non sono mai stati così in pericolo.

Cosa vuole Vladimir Putin?

Ufficialmente niente. In realtà, dimostrare al mondo con la minaccia della forza militare di tenere l’Ucraina in pugno, nella sua sfera di influenza. Che la Russia è pronta a intervenire qualora Kiev dovesse avvicinarsi troppo all’Occidente.

Una guerra è un’opzione sul tavolo?

Non penso sia nelle intenzioni del Cremlino. Ma la politica estera russa è imprevedibile, perché l’ultima parola spetta a un solo uomo: Putin. Nei suoi vent’anni al potere ha tirato il Paese fuori dalla povertà, l’ha reso una potenza con cui bisogna fare i conti, l’ha inserito nell’Unione economica eurasiatica. La missione a difesa dell’identità slava in Ucraina è l’ultimo tassello della sua legacy.

Perché agire ora? Prima dell’invasione della Crimea nel 2014 la Russia non ha mai contestato con questa forza l’allargamento della Nato.

In verità la Russia ha contestato l’allargamento della Nato a partire dal 2008, quando la Georgia ha chiesto di entrare nel piano d’azione per la membership. Allora l’Occidente non prese Putin sul serio, il conto è stato salato.

C’entra il consenso interno?

Certamente la Russia arranca sul piano domestico, ha gestito male la pandemia. Dispone però di importanti leve all’estero.

Quali?

L’Europa ha bisogno del gas russo: se Mosca chiude i rubinetti gli europei si ritrovano al freddo. E gli europei, da parte loro, faticano a trovare una risposta unitaria. La Germania è ancora in una fase di transizione, il Regno Unito è concentrato sui guai domestici.

Joe Biden si è mosso con una video-chiamata. Basterà per raffreddare le tensioni?

Non è chiaro se dalle dichiarazioni passerà ai fatti. La politica estera americana viene da un periodo di alti e bassi. La Nato è ancora da riparare, e resta il segno delle disastrose decisioni in Afghanistan. La crisi in Ucraina aggiunge instabilità.

Quali opzioni ha l’Europa?

Non molte. Nessuno vuole una guerra in Ucraina, ma nessuno vuole soddisfare senza battere ciglio tutte le richieste russe, chiarendo chi può essere membro della Nato e chi no. Anche Putin rischia molto.

Come se ne esce?

L’unica via percorribile è fare in modo che l’Ucraina abbia i mezzi e le capacità per uscirne da sola. Kiev ha rapporti solidi con Stati Uniti ed Europa ma fatica a mantenere relazioni stabili con la Russia. Paesi europei come l’Italia hanno molto da insegnare.

L’Italia può avere dunque un ruolo di primo piano?

Sì, l’Italia può fare la differenza. È una delle più grandi economie europee, l’unica che oggi possa contare su un governo stabile. Con la Merkel in uscita e Macron alle prese con le elezioni, l’Italia è il candidato naturale a guidare la politica estera europea e la de-escalation con la Russia.

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