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Gli attacchi contro gli Emirati arrivano anche dall’Iraq

Un’esplosione ad Abu Dhabi fa temere un nuovo attacco degli Houthi, mentre una milizia irachena collegata con i Pasdaran rivendica altre azioni contro gli Emirati

Un’esplosione attribuita a una bombola di gas difettosa in un edificio nella capitale degli Emirati Arabi Uniti Abu Dhabi ha sollevato molto allarme mercoledì, con l’ambasciata degli Stati Uniti che inizialmente ha detto di sospettare un possibile attacco missilistico dato che nelle ultime settimane il territorio emiratino è stato più volte bersagliato dal movimento yemenita Houthi.

Attacchi sostanzialmente controllati, aspetto che Abu Dhabi ci tiene a sottolineare per non trasmettere all’esterno un’immagine di scarsa sicurezza: gli Emirati sono un hub regionale per gli affari e il turismo e il regno vuole far sapere che sono comunque una destinazione sicura.

Nonostante una certa ansia tra i residenti legata alla ormai chiare decisione del gruppo yemenita di ampliare le azioni esterne, riflesso di un conflitto in cui i ribelli stanno combattendo da oltre sei anni contro una coalizione guidata dall’Arabia Saudita (anch’essa oggetto di bombardamenti missilistici e con droni).

Coalizione da cui gli Emirati si sono in parte sganciati nel 2019, ma restando attivi nell’assistenza ad alcune milizie lealiste locali – come quella che nelle ultime settimane ha respinto gli Houthi dalle province centro-meridionali (aree petrolifere, considerate determinanti per la vittoria della guerra).

L’autorità della difesa civile mercoledì ha chiesto al pubblico di seguire solo le fonti di notizie ufficiali e di evitare di diffondere voci inesatte. La narrazione di quanto accade ha un peso, sia collegato a quella necessità di non scalfire l’immagine degli Emirati (che in queste settimane ospitano l’expo internazionale, a Dubai) sia di non intralciare un delicato processo di stabilizzazione regionale di cui Abu Dhabi è parte attivissima – prima normalizzando i rapporti con Israele, poi cercando un qualche contatto con l’Iran e colloqui con la Turchia.

Iran che è parte in causa: i missili e i droni Houthi che cadono sul territorio emiratino sono forniti agli yemeniti dai Pasdaran, che includono la milizia arabica nel network filo-iraniano (e filo-sciita) costruito per diffondere influenza nella regione. Si tratta di un’organizzazione vasta, composta da milizie in contatto diretto con alcuni settori della Repubblica islamica collegati all’industria militare (contatti dettati dall’ideologia e dall’interesse), che mette le proprie agende locali in sovrapposizione con quelle regionali dei Pasdaran, diffusa dallo Yemen all’Iraq, dal Libano al Pakistan (che in questi ultimi mesi è finito più volte oggetti di incidenti e sabotaggi terroristici come successe nel 2019, quando nel paese si riflessero le tensioni nel Golfo iniziate con i danneggiamenti al porto petrolifero di Fujairah negli Emirati, di cui incolpato il network iraniano).

La scorsa settimana quattro droni esplosivi sono stati lanciati dall’Iraq nel territorio emiratino. L’attacco è stato opera di una milizia che si fa chiamare Alwiyat al- Waad al Haq, la Brigata della Vera Promessa, ed è poco conosciuta – per questo molti analisti la considerano un’entità di facciata per proteggere con plausible deniability i Pasdaran. La milizia irachena ha rivendicato l’azione dicendo che è stata una rappresaglia per il rinnovato coinvolgimento emiratino in Yemen, così come aveva fatto nel gennaio 2021 quando colpì lo Yamama Palace, a Riad.

Secondo il Washington Institute for Near-East Policy, uno dei think tank più specializzati nel ricostruire le dinamiche della galassia di gruppi armati in Medio Oriente, Alwiyat al- Waad al Haq è connessa a doppio filo alla Kataib Hezbollah, organizzazione irachena di cui gli iraniani hanno facilitato la creazione e ne forniscono sostentamento sullo stampo dei cugini libanesi. La Kataib Hezbollah KB) è inserita dagli Stati Uniti tra i gruppi terroristici, è stata protagonista di molti attacchi contro gli interessi occidentali in passato e ancora adesso rivendica azioni contro l’ambasciata americana o le basi della Coalizione anti-Is in Iraq e Kurdistan.

Secondo il think tank americano, la KB è sotto il diretto controllo delle Quds Force, l’unità d’élite dei Pasdaran, quella che si occupa delle operazioni clandestine all’estero e che grazie al generale Qassem Soleimani (eliminato in un attacco aereo americano fuori dall’aeroporto di Baghdad nel gennaio 2020) ha costruito quel network di milizie. Stante a queste considerazioni, l’attacco della milizia sciita irachena contro gli Emirati sarebbe stato condotto sotto diretta richiesta dell’unità militare teocratica iraniana.

All’inizio di quest’anno, la Kataib Hezbollah ha lanciato una campagna di raccolta fondi sui social media pubblicizzandola come un’iniziativa giovanile di base pensata l’obiettivo di incoraggiare i giovani iracheni ad aiutare i ribelli Houthi ad acquisire droni che potrebbero essere usati per attaccare gli Emirati Arabi.

Un comandante del gruppo aveva spiegato alla Associated Press che i droni usati vengono dall’Iran come componentistica, ma poi sono assemblati in luoghi segreti in Iraq. Questi mezzi mettono in difficoltà la difesa aerea (che in Arabia Saudita come negli Emirati Arabi è fornita dai sistemi tecnologici forniti dagli Stati Uniti), perché sono di solito piccoli e difficili da intercettare. Inoltre l’ampliamento del fronte di attacco all’Iraq è un altro problema, perché spariglia le traiettorie che di solito sono pensate da sud (dallo Yemen).

Gli Houthi hanno rivendicato tre attacchi contro gli Emirati nelle ultime settimane: uno su un deposito di carburante ad Abu Dhabi che ha ucciso tre persone il 17 gennaio, due che le autorità emiratine hanno detto essere stati intercettati – e di cui gli Houthi invece parlano propagandisticamente come di un successo.

Gli Stati Uniti e la Francia hanno annunciato pubblicamente che avrebbero aiutato Abu Dhabi ad aumentare le capacità di difesa. Nei giorni scorsi sono arrivati dei caccia F-22 americani in una mossa di deterrenza più che operativa. Israele anche assisterà gli Emirati: sta fornendo intelligence sugli attacchi e sui traffici di armi per rinforzare le milizie filo-iraniane. Molti di questi avvengono in Siria (e sono avvenuti in questi anni sotto la cortina fumogena della guerra, dove le milizie stesse sono state coinvolte da Teheran per proteggere il regime assadista amico). Gli israeliani dal 2013 hanno lanciato centinaia di raid aerei in Siria per bloccare questi trasferimenti di armi – l’ultimo c’è stato due giorni fa, a Damasco.

Questi dossier sono tutti collegati e rappresentano il fronte ampio mosso dalle componenti interne alla Repubblica islamica che non vogliono (per interessi e ideologia) che Teheran torni a comunicare con l’Occidente e i partner regionali.

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