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Draghi a Mosca, cum juicio. I consigli di Aragona

Intervista all’ex ambasciatore italiano in Russia: la visita di Draghi a Mosca un’opportunità ma non priva di rischi, con Putin si tratta sul filo. Mostri compattezza con il fronte Nato-Ue. Crisi del gas? Siamo vulnerabili, il Cremlino lo sa

Un’opportunità ma anche un rischio. Il tempismo della visita a Mosca annunciata dal premier italiano Mario Draghi per incontrare il presidente russo Vladimir Putin nel mezzo della crisi ucraina ha destato attenzioni e qualche dubbio nelle cancellerie estere. Giancarlo Aragona, che a Mosca è stato ambasciatore e conosce bene il palazzo russo, ha un consiglio non richiesto per l’inquilino di Palazzo Chigi.

Ambasciatore, il presidente del Consiglio Mario Draghi è pronto a partire per Mosca. È opportuno andare al Cremlino in questo momento?

Si, è normale che l’Italia faccia la sua parte nell’ambito di una crisi che investe interessi nazionali rilevanti. È utile che il Presidente del Consiglio sottolinei al Presidente Russo la ferma posizione del nostro Paese in seno alla Nato e alla Ue e cerchi di comprendere in prima persona le motivazioni, sinora sostanzialmente oscure, che hanno indotto la Russia ad innescare una crisi di questa gravità, con questa scelta dei tempi. Le doglianze del Cremlino per l’assetto che l’ordine europeo è andato prendendo nel post Guerra Fredda sono di lunga data e i governanti russi sono consapevoli che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non era nell’agenda concreta dell’Alleanza.

C’è il rischio che la Russia “usi” la visita a suo favore?

Rischi del genere esistono sempre ma son certo che la preparazione della visita da parte della nostra diplomazia e l’esperienza del presidente Draghi li minimizzeranno. Escluderli del tutto è impossibile. I russi sono molto sofisticati, lo dico per esperienza diretta, e anche spregiudicati. Basti pensare al trattamento riservato a Macron dal portavoce di Putin, Peskov, che ha ricordato al Presidente francese che il Cremlino gli riconosceva un ruolo nell’ambito degli accordi di Minsk ma che, sulla questione degli equilibri in Europa e del ruolo della Nato, l’interlocutore non potevano che essere gli Stati Uniti. Una lezione di realpolitik che l’Eliseo non deve aver accolto bene.

Come durante la conferenza stampa di fine anno, Draghi ha ricordato l’impatto negativo che le sanzioni possono avere sull’economia italiana ed europea, in particolare sul settore energetico. Realpolitik o una leggerezza comunicativa in mezzo alla crisi?

Le autorità russe conoscono benissimo la vulnerabilità italiana nel settore energetico e la nostra dipendenza dalle loro forniture di gas. Non hanno bisogno che venga loro sottolineato. Mi domando se Draghi, nella concitazione della conferenza stampa, non abbia piuttosto inteso parlare ai partner della Ue, e forse anche agli Usa, impegnati a disegnare l’impianto sanzionatorio per il caso in cui la Russia aggredisse l’Ucraina. Se non ben costruito, l’Italia potrebbe esserne più penalizzata di altri. Le sanzioni, salvo casi eccezionali, fanno male a chi le subisce ma danneggiano in diversa misura anche chi le impone. Ed è ovvio che Mosca faccia leva su questo per tentare di dividere il fronte occidentale. Sinora, non abbiamo prestato il fianco a queste manovre scontate.

L’Italia si propone per mediare. Fare i pontieri può diventare un boomerang in un momento in cui la Nato chiede compattezza?

Sinora, la postura comunicativa dell’Italia è stata sobria ed appropriata. Lo abbiamo constatato anche in occasione della visita a Mosca del Ministro Di Maio. Draghi sa che la partita decisiva si gioca tra Mosca e Washington. Come ho detto più sopra, ritengo che l’obiettivo della sua missione sia, realisticamente, affermare la solidarietà occidentale dell’Italia, capire da Putin, al di fuori della soverchiante diplomazia pubblica delle Parti, quali siano gli scopi effettivi del Cremlino e verificare se l’Italia non possa dare un contributo all’allenamento della tensione. Il nostro Paese è uno dei maggiori nella NATO ed in Europa, ha un proficuo rapporto storico con la Russia e, quindi, essere attivi nelle dinamiche diplomatiche in corso non significa nutrire velleità da pontieri o mediatori. È il ruolo che ci compete.

Un consiglio non richiesto al premier e a chi sta seguendo in prima linea la crisi?

Ho trovato sinora apprezzabile il comportamento del Governo sia in seno alle nostre Alleanze che nei confronti della Russia. L’Italia si conferma solidamente ancorata all’Alleanza atlantica ed alla UE, difende principi e valori che speravamo ormai condivisi almeno nell’area euro-atlantica e che sono messi violentemente in discussione da Mosca, ma anche si mostra consapevole del fatto che un assetto stabile del continente europeo deve tenere conto degli interessi legittimi, sottolineo legittimi, di sicurezza della Russia. Quanto più aderiremo a questi criteri con un saldo fronte politico interno, e senza derive retoriche o declamatorie, tanto più saremo autorevoli.

Dalle aziende ai media, c’è un mondo non secondario che in Italia tifa per la mano morbida con Mosca. Questo può dare vita a equivoci o problemi?

Le aziende fanno i loro interessi, e non solo in Italia. Il Governo russo spera che queste lobbies indeboliscano il fronte avverso. È normale, così come è anche normale che le politiche occidentali nei confronti di Mosca tengano conto del prezzo economico e finanziario da pagare. Per far dire ai governanti tedeschi che il North Stream 2 sarebbe entrato in gioco in caso di invasione dell’Ucraina c’è voluto del tempo e, sospetto, qualche ferma pressione americana. I media riflettono diversità di opinioni dei commentatori, sfumature ideologiche delle aree politiche di rispettivo riferimento o input di altra natura. Non mi sembra che, a livello dei principali organi di stampa italiani, siano emerse significative differenze.

Quanto è cambiata la Russia dai tempi in cui lei era a capo della missione italiana a Mosca? 

Sono stato ambasciatore in Russia durante la transizione da Eltsin a Putin. Da allora tanto è cambiato, in Russia ed in Europa. Le cose potevano andare diversamente ma è inutile recriminare. Se, come ancora possibile, si riuscirà a disinnescare questa crisi attorno all’Ucraina e ad aprire tra Mosca e l’Occidente un progressivo dialogo, si potrebbe nuovamente tornare a lavorare alla costruzione di un ordine euro-atlantico sicuro e stabile. Ci si era riusciti in piena guerra fredda con il processo di Helsinki e adesso le condizioni di base sono obiettivamente migliori anche se uno scenario del genere appare oggi irrealistico.

L’asse con la Cina è un sintomo che deve preoccupare Europa e Stati Uniti?

Il rapporto tra Russia e Cina è problematico sotto più profili, soprattutto dalla prospettiva di Mosca. Il Cremlino, e a modo loro i Cinesi, strumentalizzano per i loro fini il loro attuale avvicinamento. Detto questo, sul piano globale, non è nell’interesse dell’Occidente spingere la Russia verso Pechino, in un equilibrio asimmetrico che rafforzerebbe soprattutto la Cina nella competizione strategica con gli Stati Uniti.

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