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Cosa cerca Erdogan dai colloqui tra Ucraina e Russia

Ankara cerca di sfruttare il massimo degli spazi possibili forniti dalla crisi ucraina e prova ad accreditarsi con Mosca mostrandosi un interlocutore credibile. Cirenaica, Idlib, Karabakh, Nur Sultan sono dossier in cui la Turchia può essere importante e dolorosa per la Russia

Da settimane la Turchia prova a infondere positività sulla guerra in Ucraina. Lo fa sottolineando che gli spazi negoziali ancora esistono e come risultato immediato ha ottenuto la possibilità di ospitare — in qualità di Paese terzo — il round di colloqui tra funzionari russi e ucraini iniziato oggi, martedì 29 marzo.

L’obiettivo di Ankara è dimostrarsi un broker funzionale ed efficace in grado di guidare le relazioni internazionali. E dunque di far apparire tale Recep Tayyp Erdogan, un presidente che segna i processi del Paese da un decennio e che è costantemente a caccia di consenso. D’altronde, dopo aver corso il rischio di sovraesporre il Paese in dinamiche internazionali non protette da capacità di cassa — la Turchia è in profonda crisi economica e finanziaria — ora deve cercare spazi e qualche dividendo.

Fermi molti dei fronti in cui si era attivato e in cui aveva attivato la narrazione neo-imperiale (semplificazione comoda per chi scrive e per chi legge) che accompagna la sua presidenza, dalla Libia alla Siria del Nord fino agli screzi sul Mediterraneo orientale, ora si muove nel flusso degli eventi. Dagli avvicinamenti tattici con Emirati Arabi Uniti, Egitto e Israele, un tempo nemici di varia forma di Ankara, alle attività nel conflitto ucraino tutto serve per accrescere il valore internazionale di Erdogan.

Tutto anche a uso interno. Nel giugno 2023 i turchi saranno infatti chiamati alle urne per scegliere presidente (competizione a cui Erdie potrà candidarsi) e Parlamento, con le opposizioni che pressano — anche per anticipare il voto visto il disastro economico. “Tenere elezioni ogni 15 o 20 mesi è tipico delle tribù primitive. Stiamo guidando questo Paese come un’entità moderna”, aveva risposto Erdogan a certe evocazioni, e nel farlo ha esortato i membri del suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP) a “lavorare duramente” per essere rieletti, in quelle che ha definito “le elezioni più vitali di sempre”. Tutto mentre prometteva di “distruggere qualsiasi sorta di complotto economico, politico o militare contro la Turchia”. Chiaro il clima?

“Essendo un Paese con una grande conoscenza ed esperienza nella gestione delle crisi finanziarie, proprio come in ogni altra area, siamo determinati a sfruttare le opportunità offerte dal periodo critico che il mondo sta attraversando”, diceva il presidente turco a novembre scorso. Tra queste opportunità c’è anche la guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Erdogan vanta una capacità di dialogo con Putin: sebbene Russia e Turchia siano in competizione su molti fronti, sono in cooperazione altrove. La relazione viene definita dagli esperti di studi strategici anglosassoni coopetition.

Nei giorni scorsi c’è stata per esempio una conversazione telefonica tra i due leader, durante la quale il turco ha assicurato al suo omologo russo che Ankara è pronta a dare “ogni contributo necessario” per stabilire un cessate il fuoco in Ucraina e “migliorare la condizione umanitaria nella regione”. Parole classiche quelle del comunicato, ma che svelano come adesso l’intento di Erdogan sia far sapere di essere orientato verso diplomazia, pace e solidarietà — ma è chiaro che Ankara non abbia abbandonato del tutto altro genere di interessi (chiedere ai curdi).

Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu è il portabandiera di questo spirito (come giusto che faccia il capo di un diplomazia, si dirà). Capace di mettersi fisicamente in mezzo al collega russo, Sergei Lavrov, e quello ucraino, Dmitro Kuleba, durante la riunione del Forum diplomatico di Antalaya — unico incontro russo-ucraino in cui hanno partecipato funzionari di alto livello, arrivato dopo la doppia visita del turco a Leopoli e Mosca. Ma Cavusoglu è anche attento a toccare certe leve come la fratellanza con l’Azerbaigian, il ruolo sempre più attivo della Turchia in Asia Centrale, oppure nel Nord Africa, o ancora nel mercato di armamenti tattici come i droni (il cui valore cruciale in determinati contesti li sta rendendo quasi di rango strategico, chiedere a Kiev), e per finire con un altro esempio il controllo turco del Mar Nero.

Leve appunto che interessano alla Russia. Mosca davanti a sé ha un attore che può far molto male ai propri interessi. Basta citare quanto l’avvicinamento al neo-governo libico di Fathi Bashaga parli una lingua chiara al Cremlino: quel governo (ancora non del tutto implementato per le caratteristiche dinamiche divisive libiche) è frutto di un importante accordo tra Tripolitania e Cirenaica, e se Ankara ci mette il cappello è anche per scalzare i russi da qualche posizione nell’Est del Paese, ora che le forze lì schierate servono per rinforzare il fronte ucraino in difficoltà (notizia di oggi: per l’intelligence inglese ci sono mille uomini della Wagner, anche quadri, nel Donbas, e probabilmente sono stati spostati da altri fronti).

La Turchia può essere il problema russo, maestri di tattica, ad Ankara stanno cercando il modo per trarre vantaggio dalla necessità di Mosca (che economicamente non naviga in acque migliori delle loro) di scoprire i fronti. Si veda cosa succede in Nagorno-Karabakh, dove la Turchia ha vinto — via Azerbaijan — la dimostrazione di forza con la Russia, che non è riuscita a proteggere l’Armenia. Lì Erdogan ha ottenuto un successo nella guerra di narrazione: parlando la stessa lingua di Putin è intervenuto con successo per proteggere “i fratelli turchi”, cosa che non è riuscita con gli armeni-russi al leader del Cremlino, e male sta riuscendo in Ucraina.

Là il presidente Volodymyr Zelensky, ebreo che Mosca accusa sghembamente di guidare una “giunta nazista” da cui salvare i russi (e gli ucraini che nella razionalizzazione massima putiniana sono comunque russi, consapevole o meno), chiede che la Turchia faccia parte del sistema di garanzie di sicurezza che salvaguarderà la pace — quando arriverà. Ossia Zelensky, abile nel comunicare e nel muoversi tra quelle narrazioni, percepisce la necessità di apparire di Erdogan, la esalta, a netto detrimento russo.

Ed è così che stando alle informazioni che arrivano da persone informate sui colloqui, pare che la diplomazia di Ankara stia preparando un documento per condannare tutte le forme di nazismo: ossia gli uomini di Cavusoglu (leggasi di Erdogan) comprendono la necessità russa di salvare l’immagine, ma determinano un perimetro accettabile per Kiev e si portano ancora avanti su un punto problematico dei colloqui.

Non è facile gestire la situazione, sia chiaro: oggi Kuleba ha detto che “non c’è consenso con la Russia sui quattro punti menzionati dal presidente della Turchia”, che è intervenuto per benedire gli incontri di Istanbul. Il ministro ucraino si riferiva in particolare alla questione della la lingua: “Quella ucraina è e sarà l’unica lingua di stato in Ucraina”, ha detto, mentre per Erdogan la faccenda era superabile.

Tuttavia tutto questo permette ad Ankara di portarsi in vantaggio su una serie di competitor e partner (competitivi), più o meno d’accordo con certe dinamiche. Innanzitutto la Nato, che gli concede spazi consapevole che questa è l’unica via per permettere a qualche membro dell’alleanza di parlare con Putin — e dunque di ricevere feedback diretti, che arriveranno perché nessun piano di grandezza erdoganiano può funzionare senza l’Occidente. Poi i regionali: con Egitto, Emirati e Arabia Saudita in qualche modo incastrati in una sostanziale inazione, Erdogan cerca di dimostrare di essere l’unica potenza del Medio Oriente in grado di poter giocare al tavolo dei grandi.

Anche in faccia a Israele. Con Gerusalemme — com’è col Cairo, Abud Dhabi e Riad — c’è un avvicinamento, più tattico che sentimentale, ma la competitività resta. Il ruolo di mediatore intrapreso dal primo ministro Naftali Bennett è ora messo in pausa anche per la sua positività al Covid, e tatticamente questo è un momento perfetto per scavalcare un futuro partner con cui resteranno rivalità e competizioni.

Un momento ideale per muovere quelle leve — Cirenaica, Idlib, Karabakh, Nur Sultan — che la Turchia ha davanti alla Russia e cercare con Mosca un qualche accomodamento che possa servire a Erdogan per sventolare la bandiera della pace. Poi si vedrà.

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