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Droni kamikaze per Putin e repressione interna. Così l’Iran si mostra al mondo

Nuove armi, tra cui altri droni e missili, potrebbero arrivare dall’Iran alla Russia per rinforzare l’aggressione all’Ucraina. Per gli Usa, il collegamento Mosca-Teheran, le repressioni contro le proteste anti-regime e l’atteggiamento sul Jcpoa, sono un chiaro esempio di ciò che considerano un antagonista

Nell’attacco che nella notte tra domenica e lunedì 17 ottobre ha colpito diversi edifici residenziali di Kiev sono stati nuovamente usati i droni Shahed 136, proiettili rotanti forniti dall’Iran alla Russia — che è a corto di armamenti e di idee, tant’è che nelle ultime settimane è tornata a colpire obiettivi civili e minacciare ritorsioni ulteriori sperando, come faceva anni fa in Siria, di sfiancare il fronte della resistenza che va avanti da otto mesi.

Va evidenziato prima di andare avanti che l’Iran nega queste forniture militari e per ora — escluso gli Usa e Israele — tutti fingono di credere a Teheran in attesa di ulteriori prove e approfondimenti (c’è la consapevolezza che diverse cose potrebbero cambiare se anche l’Ue, per esempio, prendesse una posizione sul tema, e per questo viene gestito con cautela; ci si arriverà).

Così come colpire target civili, l’uso di quei sistemi a pilotaggio remoto non è (almeno per ora) determinante dal punto di vista tattico né tanto meno strategico, come spiegava Federico Borsari (Cepa). Tuttavia l’uso di armi iraniane, soprattutto quello che vengono giornalisticamente definiti “droni kamikaze” stanno creando attività di disturbo, oltre che trasmettendo un senso di incapacità difensiva e dunque incutendo paura tra i cittadini ucraini. Gli stormi potrebbero anche essere letali se usati contro i sistemi di difesa aerea.

E inoltre queste spedizioni iraniane stanno facendo molto rumore, anche perché le intelligence americane lo stanno usando per sottolineare una scelta di campo chiara fatta da Teheran — l’allineamento con la Russia, che in questo momento per Washington è sinonimo di rivalità (come dimostra la lite con l’Arabia Saudita per la decisone sul taglio di produzione petrolifera dell’Opec+, con Riad rea per gli americani di aver favorito gli introiti russi attraverso quella mossa che avrebbe fatto innalzare).

Secondo nuove rivelazioni fornite da funzionari di sicurezza statunitensi e alleati, l’Iran sta anche rafforzando il suo impegno a fornire armi per l’assalto russo all’Ucraina, accettando segretamente di inviare non solo droni d’attacco, ma anche quelli che alcuni funzionari hanno descritto come i primi missili terra-superficie di fabbricazione iraniana (probabilmente  i noti Fateh-110 e Zolfaghar già passati dai Pasdaran ad alcune milizie sciite mediorientali). Questi sarebbero destinati all’uso contro le città e le postazioni delle truppe ucraine. La notizia è del Washington Post e ha il sapore di quelle simili che uscivano anche su altri media statunitensi in estate per evidenziare i collegamenti tra Mosca e Teheran.

Tra le righe si legge un alto livello di irrequietezza, e non solo americana. Gli “alleati” europei si sono spesi — sia come Ue che come E3 (Regno Unito, Francia, Germania) — per mediare una complicata ricomposizione del Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare del 2015 da cui l’amministrazione Trump era uscita nel 2018 reintroducendo tutta la panoplia sanzionatoria contro l’Iran. Ma le cose non stanno andando troppo bene.

Se tempo fa Parigi proponeva di trovare una via di intesa che permettesse anche di vendere da subito aliquote di petrolio iraniano (via Total, diranno i più smaliziati) attraverso forme di esclusione dalle sanzioni — era una potenziale e parziale soluzione pensata per aumentare la quantità di prodotto in circolazione e abbassare i prezzi seguendo un interesse diretto e per colpire indirettamente la Russia — ora le cose stanno cambiando. La ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, qualche giorno fa ha proposto “nuove sanzioni all’Iran, rivolte ai responsabili della repressione. […] Ancora una volta, condanno la violenza e la repressione della polizia contro i manifestanti pacifici, che stanno continuando in Iran senza alcuna giustificazione”. Una posizione che potrebbe essere implementa con una decisone europea già nelle prossime ore.

I piani si intersecano inevitabilmente. Parte del lavoro con l’Iran è attualmente giocato sulla ricerca di un equilibrio che dovrebbe stare nel trattare i dossier attraverso compartimenti stagni, spiega una fonte diplomatica europea in forma riservata. Tuttavia ciò sta diventando “sempre più difficile se non impossibile, andando avanti”.

È in effetti complicato trattare da un lato il Jcpoa, che una volta ricomposto dovrebbe abolire le sanzioni e permettere all’Iran di respirare (economicamente), senza che due enormi elefanti nella stanza vengano fuori. Il primo è l’atteggiamento repressivo scelto dal regime contro le manifestazioni di protesta che da circa un mese incendiano le strade iraniane; il secondo è la questione del finanziamento all’aggressione russa (non gratuito, ma si tratta di commesse militari in violazione di alcune sanzioni).

Qualche giorno fa, mentre stava presentando la nuova National Security Strategy, il portavoce del dipartimento di Stato, ha detto che rivitalizzare il Jcpoa “non è il nostro focus in questo momento”, perché Teheran ha mostrato scarso interesse. Alla domanda se gli Stati Uniti fossero interessati a portare avanti i colloqui per rilanciare il patto, il portavoce ha aggiunto che “nulla di ciò che abbiamo sentito nelle ultime settimane suggerisce che abbiano cambiato la loro posizione. Quindi, in questo momento, la nostra attenzione […] è rivolta al notevole coraggio che il popolo iraniano sta dimostrando con le sue manifestazioni pacifiche”. E aggiunto: “La nostra attenzione in questo momento è rivolta ad accendere i riflettori su ciò che stanno facendo e a sostenerli nei modi possibili”.

Ossia, gli Stati Uniti dichiarano che hanno intenzione di sostenere i cittadini iraniani che conducono quelle che ancora sono proteste acefale e che potrebbero però anche diventare una rivoluzione contro il regime. È una posizione tutt’altro che scontata per toni e contenuti, e pure piuttosto sbilanciata davanti alle continua autodifesa del regime iraniano che denuncia la presenza di attività malevole nemiche al fondo delle manifestazioni. Ma forse è influenzata anche dai link con la Russia e dal contesto generale.

L’Iran in questo momento è in effetti il nemico per eccellenza della narrazione statunitense: cerca di sviluppare il programma atomico, e dunque spinge per una forma di egemonia regionale (contro cui il documento per la Sicurezza nazionale si oppone chiaramente nel solco di una tradizione strategica statunitense); reprime le proteste e si dimostra feroce contro ogni forma di diritto (mentre l’amministrazione Biden fa della protezione dei diritti e dei valori democratici il proprio vessillo); aiuta la Russia in un’aggressione simbolica per il confronto tra democrazie e autoritarismi che Washington sente di dover spingere sul piano delle relazioni (anche in funzione del confronto con la Cina).



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