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Come il governo Meloni naviga il Mediterraneo. La mappa di Mezran

Il governo Meloni sta proseguendo, “con incisività” secondo Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative dell’Atlantic Council, sul solco storicamente battuto da Roma nel Mediterraneo allargato. Buoni rapporti con la Turchia, dialogo con la Tunisia, ruolo di equilibrio per l’Algeria e una visione onusiana sulla Libia

Per necessità, agende e interessi, il governo Meloni si è trovato ad avere a che fare con gli affari globali sin dai primi giorni dell’inizio del mandato. L’esecutivo italiano ha dimostrato di essersi attivato, dando attenzione a dossier internazionali e regionali, su tutti quello mediterraneo. Bacino complesso che riguarda le relazioni con partner europei come Francia e Spagna, alleati Nato come la Turchia e la Grecia, il lato balcanico e il mondo dell’area Mena (il Medio Oriente e il Nord Africa), del Sahel e della fascia centro-settentrionale africana: un quadro abbracciato dalla visione italiana di “Mediterraneo allargato”.

La politica estera italiana di questo nuovo governo è partita nella direzione giusta, senza rotture col passato, ma con maggiore incisività, secondo Karim Mezran, direttore della North Africa Initiative dell’Atlantic Council, che in una conversazione con Formiche.net si concentra sulle mosse dell’esecutivo italiano sul fronte mediterraneo-nordafricano.

“Penso che innanzitutto – spiega Mezran – a Roma si sia capita molto bene l’importanza della Turchia: al di là delle future elezioni, la politica estera di Ankara non cambierà troppo, e l’Italia ha capito che è un attore chiave nel Mediterraneo con cui occorre dialogare e non è possibile isolarla”.

Sia il ministro degli Esteri Antonio Tajani che quello degli Interni Matteo Piantedosi si sono recentemente recati ad Ankara per incontri con il governo turco. Gli stessi sono stati in questi giorni in Tunisia. “Un Paese con cui l’Italia sta adottando una politica piuttosto accorta nello spazio di azione limitatissimo che c’è”, aggiunge Mezran. “A Tunisi – continua – è impossibile non riconoscere il presidente Kais Saied, ma è altrettanto importante mantenere distanze oggettive sulla situazione per evitare di finire spiazzati da eventuali evoluzioni, perché il rischio è di mandare in tilt l’azione politica italiana nel Mediterraneo”.

In Tunisia, Saied ha stretto sul controllo delle istituzioni portando il Paese verso una forma di iper-presidenzialismo. Il tentativo del capo di Stato di sistemare la crisi socio-politica ed economica interna, avviato dalle decisioni con cui ha sospeso Parlamento e governo nel luglio 2021, è ancora senza risultati – e anzi, come dimostra anche l’enorme astensione alle ultime elezioni parlamentari, si sta rompendo una sorta di patto di fiducia creato con le collettività tunisine. Il rischio è che il Paese possa scivolare nei disordini, e un appoggio eccessivo alle azioni del presidente sarebbe controproducente; allo stesso tempo, Saied è un interlocutore (lo è anche per istituzioni internazionali come l’Fmi che sta per finanziare Tunisi).

Attualmente gli equilibri tunisini sono sostenuti in parte anche dall’Algeria, che sta giocando un ruolo importante per evitare quelle destabilizzazioni nel Paese – che potrebbero avere effetti regionali. Nei prossimi giorni, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà ad Algeri, per incontri di alto livello con cui proseguire il percorso di contatto approfondito con il governo Draghi.

“Gli Accordi di Abramo hanno innescato un movimento molto positivo con un problema evidente però: l’avvicinamento troppo veloce al Marocco ha creato forte risentimento in Algeria, e sta mettendo Algeri all’angolo, con il rischio di radicalizzare le sue posizioni, passaggio che avverrebbe giocando la carta del nazionalismo (essendo un regime militare) e portandosi dietro il coinvolgimento della Tunisia (protetta dall’Algeria) e il potenziale scarrellamento di algerini e tunisini verso attori non amici dell’Occidente”, fa notare Mezran.

E aggiunge: “Su questo l’Italia sta giocando un ruolo cruciale, con diplomazia, politica ed economia strategica. Roma ha costruito un legame importante con Algeri, al di là del gas: gli sta permettendo di non sentirsi isolata, di avere un interlocutore importante in Europa, in definitiva in Occidente”. Roma fa da punto di equilibrio in una fase in cui l’Algeria cerca di rinnovare il suo standing internazionale, provando a capitalizzare le nuove entrate economiche e il ruolo strategico assunto nella sicurezza energetica europea, e pensando di far passare la propria dimensione nel mondo anche da organizzazioni come i Brics.

Resta un altro dossier aperto e controverso: la Libia, di nuovo divisa e con il rischio che queste divisioni sfoghino in scontri armati tra attori interni (come quelli che stanno avvenendo a Tripoli durante la stesura di questo articolo, ndr), coinvolgendo nuovamente player esterni. “La Libia è un’altra di quelle sensibilità con potenziale ricaduta regionale su cui la posizione italiana è sostanzialmente giusta: è necessario infatti che tutte le negoziazioni e le occasioni di dialogo avvengano in un’unica forma, coinvolgendo tutti gli inviati internazionali, e Roma fa bene a chiedere che l’Onu si intesti l’intero processo, che chiaramente non è facile”, spiega Mezran.

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