Skip to main content

Riad-Gerusalemme. Ci sono le condizioni per un nuovo Medio Oriente

I giornali americani tornano a parlare del possibile accordo tra Arabia Saudita e Israele, per normalizzare le relazioni. Riad avrebbe fatto avere a Washington un insieme di condizioni per accettare un’intesa con Gerusalemme. Ci sono interessi condivisi e diversi ostacoli, ma un risultato positivo potrebbe rimodellare il Medio Oriente

L’Arabia Saudita sta cercando di ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti, aiuto nello sviluppo di un programma nucleare civile e minori restrizioni sulla vendita di armi americane come prezzo per la normalizzazione delle relazioni con Israele. La notizia viene pubblicata dai media statunitensi e riguarda una serie di interlocuzioni private che vanno avanti da fine anno scorso.

Gli interessi per Biden

Washington è già impegnata nel cercare di rinnovare questo clima di fiducia, come dimostrano per esempio le recenti esercitazioni “Red Sands”, dove gli uomini del Pentagono si sono esercitati in esclusiva con i sauditi nella prima manovra congiunta finalizzata al contenimento degli attacchi con droni — che sono la specialità della casa dell’Iran, rivale geopolitico e ideologico saudita.

Se in qualche modo si riuscirà a raggiungere un accordo, si darebbe vita a un riallineamento politico del Medio Oriente di portata enorme. Israele ha già normalizzato le relazioni con alcuni Paesi arabi, su tutti gli Emirati, ma il peso politico (economico, culturale, demografico) dell’Arabia Saudita è unico.

La richiesta di Riad dà al presidente Joe Biden la possibilità di mediare un accordo storico che rimodellerebbe le relazioni di Israele con il più potente Stato arabo, e riequilibrerebbe la sua presenza su un tema in cui il suo predecessore Donald Trump ha scosso — con gli Accordi di Abramo — in positivo lo status quo. Da tempo i funzionari dell’amministrazione Biden ripetono che la loro attività è quella di “costruire sugli Accordi di Abramo”.

È un impegno in cui, visto l’influenza che sia il mondo ebraico che quello arabo hanno a Washington, Biden e i suoi potrebbero portare avanti anche in vista delle presidenziali del 2024. Restano da valutare le reazioni al Congresso, dove l’erede al trono Mohammed bin Salman non è amato in senso bipartisan e primo ministro Benjamin Netanyahu non è apprezzato dai democratici.

L’intesa sarebbe un successo per tutti

Un accordo di normalizzazione realizzerebbe anche uno degli obiettivi più cari al primo ministro israeliano, coronando quella che considera un’eredità per aumentare la sicurezza del suo Paese contro il suo arcinemico: l’Iran. Inoltre ridimensionerebbe l’importanza relativa della questione palestinese: è già successo con gli Accordi di Abramo, anche se non ancora a livello culturale e popolare (e questo ha forse creato fattori destabilizzanti, sebbene un ingresso saudita avrebbe un suo peso anche qui). In definitiva, Netanyahu otterrebbe un grande bonus politico, e forse non è un caso sé queste informazioni arrivano sui giornali internazionali nel momento di maggiore difficoltà della sua lunga storia politico-istituzionale.

Allo stesso modo, possono esserci legittime perplessità sulla proposta saudita, dati i rapporti gelidi tra Biden e bin Salman. In particolare, c’è stato un battibecco pubblico pochi mesi fa, dopo la decisione saudita di procedere con i tagli alle produzioni di petrolio all’interno del sistema Opec+, nonostante Biden avesse chiesto di evitarlo per non innescare aumenti di prezzi del carburante e per non favorire la Russia.

Tuttavia un’intesa sarebbe un successo per tutti. Perché se come detto darebbe ai due Paesi mediorientali vantaggi di carattere strategico e tattico — un altro esempio: l’Arabia Saudita potrebbe finire protetta dai sistemi di difesa israeliani come l’Iran Dome — un accordo sarebbe perfettamente nell’ottica strategica statunitense.

Rimodellare il Medio Oriente: la strategia Usa

La volontà dell’America è infatti quella di allentare il proprio coinvolgimento negli affari mediorientali, per favorire l’impegno nell’Indo Pacifico. Ma gli Stati Uniti non accettano di perdere terreno. È qui che mediare una normalizzazione tra Riad e Gerusalemme permetterebbe a Washington di essere politicamente protagonista, affidando la gestione degli affari correnti a un gruppo di alleati fidati e tendenzialmente affidabili.

Va inoltre sottolineato che la creazione di questo allineamento — che ha già degli elementi di cooperazione informale — permetterebbe agli Usa anche di mantenere un controllo sulle eventuali esposizioni di quei due grandi player ai corteggiamenti cinesi. Per farlo, gli americani potrebbero facilitare sistemi mini-laterali operativi e verticali, includendo israeliani e sauditi, ma anche altri partner.

Per quanto noto, al momento il dossier è gestito da Brett McGurk, coordinatore del Consiglio di Sicurezza Nazionale per il Medio Oriente e il Nord Africa, e da Amos Hochstein, il principale assistente di Biden per le questioni energetiche globali. Il principe saudita bin Salam, dopo aver avuto un ruolo diretto nei negoziati, ultimamente avrebbe incaricato della gestione attiva l’ambasciatrice saudita a Washington, la principessa Reema bint Bandar Al Saud.

Ostacoli ideologici e pragmatismo

I funzionari sauditi hanno dichiarato di non poter instaurare relazioni normali con Israele —  un passo che includerebbe interazioni diplomatiche formali e probabilmente anche accordi commerciali e di viaggio — prima della creazione di uno Stato palestinese. Ma è una posizione di carattere ideologico, essenzialmente legata al ruolo del regno come protettore dei luoghi sacri dell’Islam. È possibile che in futuro questa linea storica protetta da Re Salman e dalla sua generazione possa essere sostituiti da qualcosa i più pragmatico come sono le visioni di suoi figlio, l’erede al trono bin Salman.

“Non vediamo Israele come un nemico, ma piuttosto come un potenziale alleato”, ha dichiarato il principe Mohammed in un’intervista a The Atlantic. A luglio, il regno saudita ha concesso alle compagnie aeree israeliane un maggiore accesso allo spazio aereo saudita, in una mossa che indica la volontà saudita di impegnarsi con Israele.

D’altronde, le dinamiche in ballo raccontano anche che Biden è diventato in grado di avere una leva chiara su Netanyahu: per l’israeliano, l’unico modo per ottenere la normalizzazione con ì sauditi è attraverso la mediazione dell’americano, il quale ha modo di persuaderlo sul fatto che non otterrà niente se lascia esplodere la situazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

Il mese scorso, il principe Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri saudita, ha definito la situazione in Israele “un momento molto pericoloso” e ha affermato che qualsiasi pace con il Paese deve “includere i palestinesi, perché senza affrontare la questione di uno Stato palestinese, non avremo una vera e propria pace nella regione”. In un sondaggio condotto a novembre dal Washington Institute for Near East Policy, il 76% dei sauditi ha dichiarato di avere un’opinione negativa degli Accordi di Abramo. Il think tank statunitense ha una visione pro-israeliana ed è parte attiva nei contatti con i sauditi.

Richieste pretenziose da Riad?

Con oltre 20 milioni di cittadini, i funzionari sauditi hanno meno spazio per contrastare l’opinione pubblica rispetto alle loro controparti in Stati più piccoli come il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti. I leader sauditi potrebbero avere inoltre poco da guadagnare da un accordo formale, soprattutto quando possono ottenere lo stesso da Israele ciò che vogliono – dall’intelligence condivisa ai programmi di spionaggio all’avanguardia.

Va aggiunto che anche le richieste di Riad presentano diversi ostacoli. I funzionari statunitensi sono da tempo diffidenti nei confronti degli sforzi sauditi per stabilire un programma nucleare civile. Temono che possa essere un primo passo verso ambizioni nucleari. Anche per questo Riad ha guardato altrove, verso Russia e Cina.

Non è chiaro nemmeno fin dove possano arrivare eventuali intese sulla sicurezza, ma difficilmente si parlerà di una garanzia di difesa reciproca come quella che lega le nazioni della Nato. Inoltre, un aumento della vendita di armi dovrebbe incrociarsi con alcune posizioni congressuali non troppi amichevoli sul tema. È possibile che diffondere queste richieste, difficilmente accettabili nel loro complesso da Biden, serva per creare uno spazio di sicurezza tramite cui evitare di accettare un qualche accordo con Israele?

Exit mobile version