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L’Italia non rinnovi la Via della Seta. Nietsche (Cnas) spiega perché

Il governo sta ancora valutando il dossier mentre promette quel coordinamento transatlantico mancato nel 2019 con Conte e il governo gialloverde in occasione della firma. Secondo l’esperta, i rischi di rimanere “sono ben maggiori” delle possibili ritorsioni di Pechino per un passo indietro

“L’Italia non dovrebbe rinnovare il memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta”. Ha pochi dubbi Carisa Nietsche, ricercatrice associata del Transatlantic Security Program presso il Center for a New American Security di Washington DC, esperta delle relazioni tra Cina ed Europa.

Il memorandum d’intesa sulla Via della seta, firmato nel 2019 dal governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte, scade a marzo 2024 ma si rinnova automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi un passo indietro entro tre mesi prima del rinnovo automatico. L’Italia è stato il primo ed è ancora l’unico Paese del G7 ad aver compiuto un passo simile. Il tema del rinnovo “ancora oggetto di valutazione”, ha detto nei giorni scorsi Giorgia Meloni, presidente del Consiglio.

“Sebbene la fine del memorandum d’intesa potrebbe provocare ritorsioni da parte di Pechino, i rischi di rimanere nella Via della Seta sono ben maggiori”, spiega Nietsche. Qualche esempio: “Il controllo cinese di infrastrutture critiche, come porti e cavi sottomarini, potrebbe compromettere le operazioni militari degli Stati Uniti e degli alleati in Europa. Inoltre, le infrastrutture digitali controllate dalla Cina rappresentano un rischio significativo per l’Europa, soprattutto le reti 5G”, sostiene l’esperta. “Non solo queste reti rappresentano una minaccia di spionaggio, ma le reti 5G sono la spina dorsale delle reti elettriche e delle infrastrutture di trasporto. Il controllo cinese di queste reti aumenta la capacità del Partito comunista cinese di indebolire le infrastrutture critiche. Inoltre, la Cina spesso investe in architetture tecnologiche che vincolano i Paesi a un fornitore cinese a lungo termine, il che potrebbe aumentare il rischio di dipendenza dalla tecnologia cinese”, aggiunge.

C’è poi un tema di compattezza transatlantica. Una decisione italiana di rinnovare il memorandum d’intesa “rischierebbe di seminare divisioni tra Italia e Stati Uniti e all’interno dell’Unione europea”, prosegue Nietsche. Non è un caso, dunque, che nei giorni scorsi un portavoce del dipartimento di Stato americano aveva spiegato a LaPresse che “gli alleati della Nato riconoscono le sfide alla sicurezza, agli interessi e ai valori transatlantici rappresentate dalla Cina e lavorano a stretto contatto per affrontarle”. Parole a cui era seguito l’impegno al coordinamento transatlantico espresso da Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, uno degli uomini più ascoltati del governo Meloni, memore dello scetticismo americano nel 2019 per la scelta italiana.

“Il coordinamento tra gli alleati della Nato e gli Stati membri dell’Unione europea è fondamentale, poiché la partecipazione di uno Stato membro dell’Unione europea o di un alleato della Nato alla Via della Seta potrebbe creare rischi e vulnerabilità per l’intera unione o per l’alleanza”, osserva l’esperta.

Che cita un esempio in cui Pechino ha utilizzato la Via della Seta come arma: nel 2016 la società statale cinese Cosco ha comprato una partecipazione di maggioranza nel porto greco del Pireo e un anno dopo, la Grecia ha bloccato una dichiarazione dell’Unione europea al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite che condannava la Cina per le violazioni dei diritti umani. “L’influenza politica di Pechino potrebbe anche essere usata come arma per minare la coesione transatlantica nell’affrontare la sfida cinese”, dice Nietsche.

Negli ultimi anni, l’Europa ha lentamente adottato una posizione più critica nei confronti di Pechino dopo alcune tensioni: basti pensare al Covid-19 e alla diplomazia del “lupo guerriero”, alle tensioni diplomatiche sullo Xinjiang, allo stop del Parlamento europeo all’accordo tra Unione europea e Cina sugli investimenti, alla rappresaglia cinese contro la Lituana per l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan a Vilnius, all’allineamento sino-russo sulla guerra in Ucraina. “Ma sebbene negli ultimi anni l’Europa abbia modificato la propria politica nei confronti della Cina, sta ancora cercando di tracciare una terza via tra Stati Uniti e Cina”, spiega Nietsche. “Alcuni Paesi europei rimangono ancora fermi. Per esempio, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha appoggiato un accordo che consentirebbe a Cosco di acquisire una partecipazione nel porto di Amburgo. Allo stesso modo, il presidente francese Emmanuel Macron ha definito la competizione tra Stati Uniti e Cina ‘un grande rischio e una grande sfida’. Mentre l’Europa sta lentamente adottando un approccio più conflittuale nei confronti della Cina, gli Stati Uniti non devono aspettarsi che l’Europa adotti un approccio identico alla strategia statunitense”, aggiunge.

La “terza via” tra Stati Uniti e Cina sarà per l’Europa “un esercizio difficile”, continua l’esperta. Infatti, “sia gli Stati Uniti sia la Cina faranno pressioni sull’Europa affinché si schieri nella competizione tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, gli Stati Uniti non dovrebbero aspettarsi che l’Europa adotti un approccio identico a quello della Cina. Al contrario, gli Stati Uniti dovrebbero spingere l’Europa a muoversi di pari passo con gli Stati Uniti nelle aree in cui possono trovare un accordo, tra cui il rafforzamento della resilienza della catena di approvvigionamento e la protezione delle infrastrutture digitali”, conclude.

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