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Panem et pax. La diplomazia del grano prova a sbloccare l’impasse in Ucraina

Riflessioni e prospettive emerse dall’evento promosso a Roma allo Yunus Emre Institute dalle ambasciate presso la Santa Sede di Ucraina e Turchia

Un’intesa motivata e voluta come progetto umanitario, che di fatto incarna il primo e unico grande accordo tra le parti dopo l’invasione dell’Ucraina. La posizione espressa circa l’accordo sul grano via Mar Nero dal Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati monsignor, Paul Richard Gallagher, offre spunti non solo di riflessione politica, ma anche prospettive da valutare per affiancare il ‘panem alla pax’. L’occasione è l’evento promosso a Roma presso lo Yunus Emre Institute dalle ambasciate presso la Santa Sede di Ucraina e Turchia, ma idealmente le rappresentazioni andate in scena allargano l’orizzonte dei ragionamenti al coinvolgimento oggettivo di tutti gli attori in campo.

Oltre il grano la pace?

Punto di partenza è comprendere come l’appoggio alla Black Sea Grain Initiative, l’accordo negoziato da Turchia e Nazioni Unite che, dallo scorso luglio, permette ai cereali ucraini di uscire dal Mar Nero, sia propedeutico ad una più ampia valutazione sull’esito del conflitto in Ucraina. Mons. Gallagher quando mette l’accento sull’interconnessione esistente tra pane e pace evidenzia il cuore pragmatico della questione: non solo “l’intesa sul grano, raggiunta nell’ambito del conflitto in Ucraina, deve essere sostenuta, salvaguardandone la natura e proteggendola da potenziali strumentalizzazioni e abusi”, ma rende chiaro a tutti una volta di più che se è vero “non c’è pace senza pane è altrettanto vero che non c’è pane senza pace”. Utile ricordare che il blocco delle esportazioni di grano dai porti del Mar Nero nel 2022 ha colpito 47 milioni di persone, la maggior parte delle quali si trova in paesi già in avanzata crisi alimentare.

Rinnovo

Per cui non solo l’auspicio di Onu e Santa Sede è che l’accordo possa essere confermato oltre l’attuale scadenza del 18 maggio, ma che venga compreso a tutti i livelli che al momento quella firma “rappresenta il primo e l’unico grande accordo tra le parti dopo l’invasione dell’Ucraina”, a dimostrazione “che gli sforzi diplomatici meritano di essere intrapresi e possono essere fruttuosi”. Secondo Gallagher quell’intesa “può servire a ricostruire il clima di fiducia che tanto manca e che potrebbe svilupparsi in un dialogo fruttuoso anche su altre questioni che godono di un consenso di principio, come la necessità di garantire la sicurezza nucleare e di prevenire un’escalation militare di tale natura”.

Dal momento che l’Ucraina è uno dei maggiori fornitori di grano al mondo, con una produzione totale di quasi 24 milioni di tonnellate all’anno, l’accordo di Istanbul ha permesso lo sblocco dell’imbuto superando il blocco portuale, con la possibilità in prospettiva di proteggere l’accordo dalla strumentalizzazione politica e militare.

Qui Turchia

Secondo l’Ambasciatore turco presso la Santa Sede, Ufuk Ulutaş, se all’inizio della vicenda bellica sembrava poter esserci margine per una trattativa, all’indomani delle atrocità a Bucha e Irpin la situazione è mutata sensibilmente, dal momento che entrambe le parti vogliono rafforzare la posizione sul campo prima di negoziare. “La Turchia ha il ruolo chiave di facilitatore del grain deal con il benestare delle Nazioni Unite”. Si tratta di un passaggio che ha stabilizzato i prezzi degli alimenti, già esteso due volte, provocando la frustrazione russa nell’implementazione del memorandum sui fertilizzanti. Condizione per continuare a trattare è l’andare avanti di questo accordo, ha aggiunto.

Di contro i russi chiedono di avere di nuovo accesso al sistema Swift per le banche che operano nell’agricoltura, lo stop alle sanzioni su macchinari agricoli, compagnie di assicurazione e riassicurazione e sulle navi che al momento non possono entrare nei porti: solo dopo questi passi si dicono pronti a trattare. Il ruolo turco è stato fondamentale per attuare lo scambio di prigionieri, una de-escalation a Zaporizhia, il sostegno umanitario e un supporto tecnico. “Continuiamo a chiedere alle parti di non mischiare politica con i cereali”, ha ammonito il diplomatico, auspicando che la Russia sia pronta a prolungare questo corridoio almeno fino al 18 luglio, importante non tanto per l’Ucraina quanto per il resto del mondo.

Mar Nero

Il Mar Nero, dunque, strategico non solo per il grano: ne è convito Can Kasapoglu, analista dell’Edam e dell’Hudson Institute), che ha tratteggiato il ‘contesto’ militare in cui si discute di panem e pax. La minaccia di conflitto globale è sul tavolo, ha spiegato, con una connessione oggettiva tra Ucraina e Taiwan, in virtù di precisi legami militari russi e cinesi. Due paesi (e due governi) che rappresentano un’incognita proprio perché sono legati.

Al momento, ha aggiunto, l’Ucraina deve mostrare alle capitali dell’occidente che è il cavallo vincente, anche perché nella storia non ci sono casi di forze sovietiche che hanno battuto forze Nato e la Russia si trova in una crisi militare, con mezzi vecchissimi in campo e un’economia di guerra che tra un anno non riuscirà a stare in piedi. Ma ha anche ammonito che nell’ultimo secolo nessuno è riuscito a vincere un conflitto senza avere la superiorità aerea. Che al momento Kiev non ha.

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