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Ucraina, armi e geopolitica. Lo scatto in avanti di Berlino secondo Pelanda

“La mediazione vaticana? Per un conflitto di questo tipo la soluzione passa solo dalle pressioni Usa da effettuare sulla Cina e sulla Russia. Gli aiuti a Kiev? La notizia è nel potenziamento da parte della Germania. L’Italia nell’Indo-Pacifico? In questa agenda si inserisce bene Roma, che già è entrata molto più pesantemente di quanto riportato sulla stampa”. Intervista all’economista e accademico Carlo Pelanda

Dal Consiglio europeo di Reykiavik emerge la volontà tedesca di potenziare il suo potere europeo e di diventare il numero uno in Europa con il riarmo. La Germania vuole rappresentare un mercato di più di 500 milioni di persone e quindi avere una relazione forte con l’America oltre che con la Cina. Lo dice a Formiche.net Carlo Pelanda, economista, accademico e uno degli analisti più attenti delle relazioni internazionali, che riflette sia sull’evoluzione del conflitto in Ucraina sia sul ruolo dei vari attori protagonisti sullo scacchiere euro-pacifico.

L’istituzione del registro dei danni di guerra in Ucraina è la risposta politica del Consiglio d’Europa a Zelensky, oltre al merito di dare più armi?

È uno dei tanti passi per applicare in forma concreta la coesione europea e per mostrare alla Russia che c’è un consenso di carattere punitivo. Rappresenta inoltre una sorta di certificazione dell’invasione, perché contiene dettagli che permettono di avviare parecchie operazioni internazionali.

È sufficiente?

È una misura non molto incisiva, certo non potevano fare molto di più. Da economista mi chiedo se questa iniziativa possa essere una base per utilizzare i beni sequestrati alla Russia in forma di risarcimento.

Dove la diplomazia vaticana sulla pace non ha trovato il favore di Kiev?

Faccio una premessa: al momento l’idea di una mediazione, condotta dal Vaticano o da altri, non regge. Sono abbastanza colpito dall’ingenuità di chi oggi la pesa come risolutiva. Può esserlo sul piano umanitario. Quando ero in America ricordo un direttore coreano che cercava appunto di lavorare per la pacificazione tra le due Coree, ma osservo che il cosiddetto binario due della diplomazia può essere utile per qualche situazione politica specifica o per Paesi piccoli. Ma per un conflitto di questo tipo la soluzione passa dalle pressioni da effettuare sulla Cina e sulla Russia.

L’Europa ha la forza necessaria?

Ha interesse a mostrare una compattezza nei confronti delle sanzioni contro la Russia e dimostrarlo sia agli americani ma anche ai russi. L’Unione europea non vuole essere né nel Consiglio Atlantico né essere in guerra con la Russia. Per cui al momento non c’è una mediazione in corso, checché ne dica il Vaticano. La faranno, casomai, America e Cina nel momento in cui premeranno sui grandi player: al momento l’interesse di tutti è di mantenere localizzato il conflitto. In seguito pian piano spero arriverà un cessate il fuoco in qualche modo.

Come potrà evolversi la risposta europea ai bisogni di Kiev? Solo mezzi di difesa e attacco o anche strategie sul dopo?

L’elemento più rilevante si trova nella decisione tedesca di aumentare gli aiuti in maniera netta, mentre prima era più riluttante.

Perché questa accelerazione?

C’è una lunga catena logica: la Germania si sente a disagio nell’alleanza delle democrazie perché non riesce a convincere l’America a fare un trattato economico che la compensi della perdita del mercato russo e di una riduzione prospettica delle relazioni con quello cinese. Inoltre, è molto infastidita del fatto che il Regno Unito si sia assestato come vero protettore dell’area baltica. Berlino quindi ha deciso di potenziare il suo potere europeo e di diventare il numero uno in Europa con il riarmo, ma non ancora i caccia. Si tratta quest’ultimo di un tema delicato che deve essere deciso a livello della Nato. La Germania vuole rappresentare un mercato di più di 500 milioni di persone e quindi avere una relazione forte con l’America oltre che con la Cina.

Al G7 la presidenza giapponese ha messo sul piatto il rafforzamento dello stato di diritto, la ricaduta nell’Indo-Pacifico sul caso Taiwan e il potenziamento del cosiddetto “Sud globale”. Come attuare questi punti in concreto e quale può essere il ruolo dell’Italia?

Si tratta di un’agenda giapponese per dare una struttura più forte al processo di organizzazione dell’alleanza nippo-americana nel Pacifico: direi che è il minimo sindacale che il Presidente giapponese ha concordato molto attentamente. In questa agenda si inserisce molto bene l’Italia che già è entrata molto più pesantemente di quanto riportato sulla stampa. Penso alle azioni militari con l’India e al caccia di sesta generazione con il Giappone. Quindi l’Italia sta andando avanti con una strategia globale, ma anche la Germania lo sta facendo senza dimenticare il Giappone. Per cui emerge che i grandi Paesi europei si riflettono nell’Unione europea per le questioni essenziali come il mercato unico e alcune regole finanziarie, ma poi sul piano delle relazioni internazionali ognuno prova a seguire la propria strada.

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