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Meloni a muso duro contro la Bce. E sul Mes meno polemiche e più lucidità

Il premier nel suo intervento alla Camera che precede il Consiglio europeo, prende di petto Christine Lagarde, la cui cura per l’inflazione è peggio della malattia stessa. E sul Mes è inutile fare polemiche, Patto e Meccanismo vanno messi sullo stesso piano​. L’Europa però insiste

Se ci sono due grane d’estate per Giorgia Meloni, quelle sono il Mes e il costo del denaro. C’era attesa alla Camera per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno. Perché in molti scommettevano, a buon vedere, che nell’esposizione del capo del governo non potessero mancare dei passaggi dedicati a due questioni di stretta, strettissima, attualità. Punto primo, il Meccanismo europeo di stabilità (qui l’intervista all’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria).

L’ESTATE DEL MES

I fatti raccontano che l’Italia è l’unica firma mancante in Europa sul trattato che riforma e regola il Mes, introducendo il backstop, ovvero il fondo supplementare per le crisi bancarie. Ma raccontano anche il governo a trazione Fratelli d’Italia da mesi chiede a Bruxelles un ulteriore ammorbidimento delle regole del nuovo patto di Stabilità formato guerra, pandemia e inflazione (per esempio lo sganciamento degli investimenti strategici dal calcolo del deficit), in cambio del sì al Mes.

Il Parlamento però nel frattempo si è mosso, fissando entro il 30 del mese la discussione alla Camera di due provvedimenti che recano l’adesione dell’Italia al trattato. Per questo il premier, che vorrebbe anche un Meccanismo più al servizio della crescita che delle crisi, con la sponda della Lega, ha intenzione di allungare la scadenza e comprare tempo fino a settembre. E a Montecitorio, Meloni ha ribadito il concetto. Tutto questo con lo sfondo di un documento del Tesoro che mette nero su bianco la scarsa pericolosità del Mes per le finanze italiane e per il suo debito.

LA DIFESA A OLTRANZA DI MELONI

Il dossier sul Mes è “una partita complessa, sulla quale io credo che l’Italia abbia obiettivi condivisi da gran parte delle forze politiche e che sono stati oggetto di sostegno bipartisan già con i governi precedenti. Per questa ragione, lo voglio dire con serenità ma anche con chiarezza, non reputo utile all’Italia alimentare in questa fase una polemica interna su alcuni strumenti finanziari, come ad esempio il Mes”, ha attaccato Meloni.

“L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le nuove regole del Patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutono nel loro complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale”.

L’Europa, però, ha risposto per le rime a Roma. E lo ha fatto per mano del presidente dell’Eurogruppo, Pascal Donhoe, per il quale “la stabilità del nostro sistema bancario è stata potenziata attraverso sforzi decisivi e sostenuti nella regolamentazione e nella supervisione e dobbiamo portare avanti questi obiettivi. In primo luogo, dobbiamo rispettare i nostri impegni e attuarli. In questo contesto, abbiamo ricordato la dichiarazione dell’Eurogruppo del novembre 2020, in cui abbiamo concordato di procedere con la riforma del Mes, per stabilire un sostegno comune al Fondo di risoluzione unico per rendere il nostro quadro ancora più solido. Ciò è particolarmente importante alla luce dei recenti avvenimenti del settore bancario

“La ratifica del Trattato del Meccanismo europeo di stabilità eé centrale per i nostri sforzi e continueremo il nostro impegno con l’Italia su questo tema. L’Italia é il solo paese che non ha provveduto alla ratifica”.

LA GUERRA DEI TASSI

L’altra partita, non meno rischiosa della precedente, è quella dei tassi. Il governo sa fin troppo bene che la mano pesante di Christine Lagarde rischia di mandare a gambe all’aria la ripresa (per la cronaca, a giugno il costo della vita in Italia è sceso dal 7,6% di maggio al 6,4%, 1,2 punti percentuali in meno). Bisogna sempre ricordare che l’Italia è tra i Paesi maggiormente indebitati d’Europa e con uno dei debiti pubblici (2.800 miliardi) tra i più alti del mondo.

Proprio per questo motivo, per finanziare parte della propria spesa, Roma è costretta ogni anno ad emettere titoli di Stato per centinaia di miliardi, facendosi prestare soldi dai mercati. Di più. Come noto, storicamente l’Italia è un Paese di proprietari di casa, il che vuol dire un elevato numero di mutui. Bene, se la Bce alza il costo del denaro, pur con l’intento pacifico di contrastare l’inflazione (a maggio al 6,1% nella zona euro), non solo si mettono sotto pressione i rendimenti sui titoli pubblici italiani, ma si rendono particolarmente onerose la rate del mutuo stesso. Il rischio, insomma, è di mandare a gambe all’aria la crescita, ora che lo Stivale macina Pil più di Germania e Francia.

E così, dopo la reazione di Antonio Tajani e Matteo Salvini, è arrivata la chiara presa di posizione del premier (nel pomeriggio a Sintra, in Portogallo, Lagarde parteciperà a un confronto con il governatore della Fed, Jerome Powell). “Il rischio è che l’aumento continuo dei tassi da parte della Bce colpisca più le nostre economie che l’inflazione, che la cura sia più dannosa della malattia”, ha tuonato Meloni.

“L’inflazione è tornata a colpire le nostre economie, una odiosa tassa occulta che è giusto combattere con decisione ma la semplicistica ricetta della Bce non appare agli occhi di molti la strada più corretta da perseguire. L’inflazione non è data da una economia che cresce troppo velocemente, ma da fattori endogeni come la crisi in Ucraina”. Lagarde in Portogallo, avrà sentito?

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