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Il probabile incontro di Zuppi con Kirill, per rompere il ghiaccio

L’incontro fra il cardinale Zuppi e il patriarca della Chiesa russa potrebbe servire a molto, sebbene proprio il molto a cui qui ci si riferisce indichi insieme all’importanza del colloquio, anche la delicatezza e profondità dei temi da trattare. Partendo dal documento congiunto firmato in questi giorni dai componenti della commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa

Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, non esclude che in occasione della sua visita a Mosca, l’inviato di papa Francesco, cardinale Matteo Zuppi, incaricato di cercare spiragli di pace per il conflitto in Ucraina potrebbe incontrare il patriarca della Chiesa ortodossa russa, Kirill.

Stanti le indicazioni giunte da Mosca che non risulterebbe in agenda un incontro con il presidente Putin – mentre durante la sua visita a Kiev l’inviato del papa ha incontrato il presidente Zelensky – viene normale da chiedersi a cosa servirebbe un incontro con quello che può essere definito il “chierichetto di Putin”. Io direi che potrebbe servire a molto, sebbene proprio il molto a cui qui ci si riferisce indichi insieme all’importanza del colloquio anche la delicatezza e profondità dei temi da trattare.

Per cogliere appieno il senso di quanto si vuole qui sottolineare non si può che partire dal documento congiunto firmato in questi giorni dai componenti la commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nella sessione plenaria svoltasi ad Alessandria dal 1° al 7 giugno.

Un documento molto importante per il Vaticano, dove Francesco è ormai prossimo all’apertura del sinodo sulla sinodalità, relativo proprio alla sinodalità e al primato nel secondo millennio. Non possiamo qui presentare la rilevanza dei nodi storici ed ecclesiali affrontati nel documento, importantissimo, ma è rilevante notare che è stato firmato da parte ortodossa dalle Chiese più vicine alle posizioni del Patriarcato di Costantinopoli, quello che ha riconosciuto l’autocefalia della Chiesa in Ucraina, non da Mosca e dalle Chiese ad essa vicine, che non hanno partecipato.

Si tratta infatti di un documento sottoscritto con i cattolici da dieci Chiese ortodosse, tra le quali il Patriarcato Ecumenico, il Patriarcato di Alessandria, il Patriarcato di Gerusalemme, il Patriarcato di Romania, il Patriarcato di Georgia, la Chiesa di Cipro, la Chiesa di Grecia, la Chiesa di Polonia, la Chiesa di Albania e la Chiesa delle Terre Ceche e della Slovacchia. È la frattura ortodossa che si riflette in questo processo che riguarda punti cruciali di un millennio di storia con reciproca capacità di comprensione. Per esempio: il documento cita lo scandalo della IV crociata e del Sacco di Costantinopoli da parte dei crociati. Che la parte cattolica riconosca quella colpa non sorprende, lo fece con un suo ufficiale Mea Culpa papa Giovanni Paolo II. Ma proprio quel Sacco e le sue terribili conseguenze è stato citato anni fa dal noto confessore di Vladimir Putin, padre Tichon, che vede in quel furto di enormi quantità d’oro l’atto di nascita del capitalismo europeo, predatore, irriguardoso, occidentale.

La tesi di Tichon non può essere ritenuta “seria”, ma neanche ridicolizzata. Piuttosto è una spia di una mentalità che eternizza le dispute, e le colpe, in un circuito di inimicizia che diviene irreversibile. Si percepisce questo dietro il famoso discorso del patriarca Kirill che ha visto nella guerra ucraina una guerra contro la perversione dell’Occidente. Il sacco e la perversione esistono, come esistono tante altre colpe, anche russe ovviamente. È la storia. Ma eternizzare la storia e le sue pagine buie rende il passato e i dissidi dei muri irreversibili.

Ma il documento di Alessandria può diventare dunque la base di un discorso diverso, anche tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica, che inserisca l’idea di riconciliazione ecclesiale, come base di una riconciliazione più ampia. Ricacciare la Chiesa ortodossa nel sentiero stretto della sua fedeltà e sottomissione al Cremlino sarebbe un errore. Un errore che Kirill sembra percorrere con agio, ma che tale resta.

I nodi sono già stretti e probabilmente sciogliere le incomprensioni storiche per favorire la pace è un cammino troppo lungo e impervio per essere praticabile sotto l’urgenza dell’oggi. Ma il gesto verso Mosca, il suo arcigno patriarca, le sue chiusure e i suoi arroccamenti, può essere un passo importante per dimostrare a chi vuole sentire che non esiste chi vuole tutto, sempre. La storia può cambiare. Cambia. Il dialogo inter-religioso si conferma tassello decisivo per la pace mondiale, i nodi e le strumentalizzazioni politiche che lo ostacolano sono evidenti. Ma affrontarlo non è tempo perso, è perdere tempo e speranze non farlo.

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