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Phisikk du role – Da Vannacci a Bandecchi, gli uomini duri che non devono chiedere mai

E così dopo l’epopea del generale Vannacci, ecco un nuovo eroe delle cronache italiane. Ma se l’elettore che pure ha dato il suo consenso maggioritario al rappresentante del popolo, poi s’accorge di aver sbagliato e cambia idea, perché condannare la cittadinanza all’attesa del nuovo turno elettorale, distante anni? In Italia non c’è rimedio. In altri Paesi sì. La rubrica di Pino Pisicchio

Quest’estate infinita ed estrema sarà ricordata sicuramente per le meteorologie malvagie ma anche per i molti coming out degli uomini duri dall’italianità guizzante di muscoli, impastati di certezze irrefutabili e di altri accessori della virilità gladiatoria tipo “io ti spiezzo” pronunciato da Dolph Lundgren, l’Ivan Drago che sfida Rocky Balboa in Rocky IV (1985). E così dopo l’epopea del generale Vannacci – da un onesto anonimato militare a 93.000 citazioni su Google nel giro di un paio di settimane – che guida le classifiche dei libri venduti con un fondamentale tomo autoprodotto in cui si elucubra della sua personale idiosincrasia nei confronti degli omosessuali, declinando competente il piccolo universo filosofico del colonnello Kurtz-Marlon Brando in Apocalypse Now, ecco un nuovo eroe delle cronache italiane. Si tratta del signor Bandecchi, sindaco di Terni ma anche molte altre cose ancora tra cui patron dell’Università telematica Unicusano e della Ternana calcio, che ha sfiorato in consiglio comunale la rissa con un paio di consiglieri dell’opposizione colpevoli di lesa maestà per aver osato interrompere il suo illuminato intervento, perché “quando parla il sindaco tutti gli altri devono stare zitti”, aggiungendo all’agenzia Ansa di essersi alzato dallo scranno da primo cittadino dirigendosi impavido verso i meschini oppositori per farli mettere seduti, senza menarli. “Le posso assicurare – ha detto al giornalista dell’agenzia – che sono stato buono. Se continuano a rompermi… diventerò cattivo e due schiaffi in faccia glieli do davvero…”.

Questo interessante prototipo dell’homo italicus formato Denim, “l’uomo che non deve chiedere. Mai” (dalla mitologica pubblicità di un dopobarba a buon mercato, anni ’80), possessore di un suo significativo curriculum in cui lo slancio vitale, appunto, si mischia all’attitudine del perfetto gaffeur, viene da noi citato per porre una domanda: ma se l’elettore che pure ha dato il suo consenso maggioritario al rappresentante del popolo, poi s’accorge di aver sbagliato e cambia idea, e se questo accade per molti, anzi per la maggioranza, perché condannare la cittadinanza all’attesa del nuovo turno elettorale, distante anni? In Italia non c’è rimedio. In altri Paesi sì. Gli americani, per esempio, hanno lo strumento del recall, il “richiamo” che è una petizione con cui, ricorrendo alcune condizioni, i cittadini possono indire un referendum per mandare a casa l’eletto. In qualche Stato addirittura la sfiducia a chi è in carica è “costruttiva”, nel senso che, senza procedere a nuove elezioni, il voto che rimuove lo sfiduciato indica anche chi gli subentra.

A proposito di supereroi, Arnold Schwarzegger, l’immortale protagonista di tanti action movie americani, venne eletto governatore della California – 40 milioni di abitanti- nel 2003 con un recall. Rappresentò le bandiere del partito Repubblicano, contro il governatore democratico in carica, Gray Davis, sfiduciato dagli elettori californiani attraverso la procedura del richiamo. La motivazione della revoca non ha nulla a che fare col giudizio dei tribunali: non è una sanzione per una condotta del politico che abbia a che fare, ad esempio, con episodi di corruzione o di tipici reati da colletti bianchi. Per questo esistono le giurisdizioni penali, civili amministrative, contabili. Il recall ha una ragione diversa: il popolo chiede la rimozione dell’eletto perché si è rotto il rapporto fiduciario che l’ha portato all’incarico pubblico, diremmo per “tradimento politico”, per insufficienza, per incompetenza, per cambiamento di programma, insomma perché in lui non viene più riconosciuta la capacità di rappresentare il corpo elettorale che lo aveva eletto. Non lo vedremmo affatto male nel nostro ordinamento.

Diciamolo pure: una spruzzatina di democrazia diretta che riporti la decisione politica nelle mani dei cittadini italiani, in un tempo che tende sempre più a confiscare la scelta elettorale attraverso l’ingiuria delle liste bloccate, male non sarebbe, a ben pensare.



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