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Dal G20, scacco sulla Via della Seta. Ecco come l’India si collega al Golfo

Al G20 va in scena l’alternativa alla Bri cinese: Usa, India, Emirati Arabi e Arabia Saudita (poi forse Israele) si muovono per collegare l’Indo Pacifico al Medio Oriente e dunque all’Europa

Secondo Michael Kugelman, direttore della South Asia Institute al Wilson Center, un accordo tra Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, India e Arabia Saudita, “rappresenterebbe un punto di svolta che rafforzerebbe la connettività tra India e Medio Oriente e mirerebbe a contrastare laBelt & Road Initiative” — l’infrastruttura geopolitica cinese che due giorni fa ha compiuto i primi dieci anni ed è in fase di bilanci.

L’intesa India-Medio Oriente è stata fortemente spinta da Washington, e Joe Biden che aspetta il G20 per un annuncio ufficiale dà tutto lo spessore alla situazione. Attenzione prima di andare avanti: i media internazionali scrivono che questo annuncio “forse ci sarà” e giù di lì, ossia tengono al condizionale la situazione, e però il solo fatto che si sia qui a parlarne è già un annuncio di per sé — soprattutto perché non si tratta di una novità, ma di un progetto/processo avviato da diverso tempo.

Connettere India e Golfo è il grande obiettivo del cosiddetto costrutto indo-abramitico, e per questo incontra perfettamente i desideri di tutti, più uno: Israele. Gerusalemme è partner perfetto dell’iniziativa, già membro del sistema I2U2 con Usa, Uae e India. Ora si aggiunge anche l’Arabia Saudita, con cui è in corso un non semplice processo di normalizzazione mediato dagli americani — complicato perché ognuno degli attori in campo sta giocando su più livelli priorità di temi e tempistiche.

Il progetto infrastrutturale in sé fa parte delle attività chiamate “Raiway Diplomacy”: l’idea nasce dall’esigenza del Golfo di creare qualcosa di simile a una grande metropolitana regionale. A questa, il piano — soprattutto emiratino secondo le voci di corridoio che accompagnano il progetto da tempo — è di collegarsi ai porti indiani. Gli Emirati sono uno dei Paesi più esperti al mondo nella gestione della logistica marittima-portuale, e dunque otterrebbero un altro strato di vantaggio (per le grandi società del Paese come DP World).

Di più: dall’India (Mumbai) le spedizioni commerciali dovrebbero arrivare ai porti Jabel Ali di Dubai e Mina Zayed di Abu Dhabi, e una volta presi i nuovi binari nel Golfo potrebbero passare dalla Giordania e andare ad Haifa, scalo israeliano e riferimento nel Mediterraneo orientale, per poi automaticamente accedere all’Europa. Questa rotta ha sette giorni di vantaggio rispetto a quella via nave che dall’India risale Suez, e non ha rischi di ingorghi nel chokepoint egiziano (l’esperienza della Ever Given insegna).

Il guadagno c’è per tutti gli attori protagonisti e per una fitta serie di partner internazionali. Certo, l’Egitto storce il naso perché perderebbe parte delle gabelle di passaggio su Suez e aliquote della sua centralità nel commercio globale, ma un modo per sistemare il Cairo potrebbe esserci, includendolo successivamente nell’infrastruttura come ponte verso l’Africa. Ed è questo un altro tema: l’idea che esce è di una Via della Seta in forma ristretta ma potenzialmente in grado di espandersi. Intanto verso nord-est, bypassando l’Iran (dove contromosse Mosca-Teheran sono già in corso), oppure integrandolo (si vedrà), si legherebbe a Turchia, Mar Caspio e Asia Centrale. E poi verso sud-ovest, verso l’Africa. E dunque, detto con uno dei termini più en vogue nelle relazioni internazionali attuali, potrebbe agganciare parti consistenti del “Global South”.

Annunciare il progetto nel contesto del G20 ne aumenta il prestigio; facilita commenti e interazione diretti tra altri leader globali (per esempio: l’Indonesia, il Giappone, l’Ue potrebbero trovarlo attraente e prenderci parte in qualche modo in futuro); è uno dei passaggi con cui Washington dimostra di essere ancora magnete per le dinamiche del gruppo. Il leader cinese Xi Jinping ha cercato di giocare sulla sua assenza per gli interessi di frammentazione dell’ordine globale, ma gli spazi concessi permettono di sfruttare il G20 per lanciare (direttamente o meno poco cambia) un progetto di connettività alternativo alla Bri.

L’Italia è parte attiva. La Penisola ha una connotazione geostrategica che la fa essere centrale nelle dinamiche del Mediterraneo, inoltre le aziende italiane — come per esempio Ferrovie — hanno exprtise altamente qualificate che possono essere fondamentali in certi progetti.

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