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Perché (giuste) politiche climatiche sono un fattore di competitività. Scrive Marieni

Le politiche climatiche sono globali. Le scelte di Ue, Usa e Cina stanno spingendo i mercati verso meccanismi comuni; l’unico modo per evitare conflitti. Con la fine dell’era fossile, il prezzo della CO2 è il principale strumento di controllo per ridurre lo stock di capitale “nero”, destinato a diventare una zavorra in grado di affondare banche e portafogli finanziari. L’alternativa sono le guerre commerciali e l’inflazione per tutti secondo Arvea Marieni, Brainscapital e Regenerative Society Foundation

Con le elezioni alle porte, la politica climatica dell’Ue si trova di fronte a venti contrari. Il Green Deal è accusato di aver deindustrializzato l’Europa. Al contrario, è la chiave della sua competitività. Ne è convinta la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La deindustrializzazione dipende piuttosto dall’alto costo della dipendenza dai combustibili fossili.

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, il consumo di combustibili fossili raggiungerà il picco in questo decennio. Il gigante cinese dell’energia Sinopec ha annunciato che il picco della domanda di benzina è già stato superato. Dal prossimo anno la domanda inizierà a diminuire. È un passo storico che segna “l’inizio della fine dell’era fossile”, scrive oggi il direttore dell’Aie sul Financial Times. Nel 2020 ero giunta alla stessa conclusione mettendo in fila i dati

E in effetti, la presidente von der Leyen ha tenuto il punto sul ruolo centrale delle politiche climatiche nel discorso sullo stato dell’Unione. Il Green Deal è nato dalla “necessità di proteggere il nostro pianeta”, ha detto, guardando agli incendi e alle inondazioni catastrofiche che dall’inizio dell’estate stanno devastando l’Europa. “Ma è stato anche concepito come un’opportunità per preservare la nostra futura prosperità”, ha aggiunto riferendosi agli investimenti in idrogeno pulito, che sono superiori a quelli di Stati Uniti e Cina messi insieme. È politica economica e industriale. Sembra ricordare agli oppositori e agli opportunisti politici.

Il nuovo mondo sta emergendo, ma il vecchio non è ancora morto. Soprattutto, sopravvivono regole di mercato che rallentano e rendono inutilmente più costose le scelte di investimento necessarie alla competizione industriale globale.

Mario Draghi proporrà un patto di stabilità verde per l’Ue?

Gli Stati Uniti, con il loro pacchetto di sussidi per le tecnologie verdi, incluso nell’Inflation Reduction Act, hanno messo l’Ue alle strette. In Cina, le energie rinnovabili e l’innovazione verde galoppano. Al Salone dell’auto di Monaco di quest’anno, i marchi automobilistici cinesi hanno dominato la scena. La situazione preoccupa le case europee che sono in forte ritardo sull’elettrico. La responsabilità, in larga misura, è loro.  Per anni la Commissione ha esortato i produttori a guardare al futuro e a investire nell’elettrico. Ma i marchi tradizionali hanno preferito tenersi i soldi e fare lobby a Bruxelles.

Oggi von der Leyen annuncia che l’Ue aprirà un’indagine sui sussidi sulle elettriche cinesi. È una buona cosa. Di fronte all’accelerazione drammatica della crisi climatica dobbiamo accelerare il passaggio alla mobilità elettrica e finalmente investire nella produzione made in Europe. Una “gara competitiva” per l’industria ecologica non può che far bene. Però questo è anche un campanello d’allarme per le case europee. E se si scoprisse che possono (e avrebbero dovuto) fare meglio, come si sussurra da tempo in certi uffici di Bruxelles?

D’altronde furono anche scelte politiche dei governi Ue a tagliare le gambe al fotovoltaico europeo a cavallo del 2010, lasciando così spazio agli investimenti cinesi. È il prezzo della difesa di interessi di breve termine – e della lobby – dell’industria europea che osteggiava la transizione all’elettrico.

L’Ue ha bisogno di crescita sostenibile, equità sociale ed energia a basso costo. Nessuno di questi obiettivi può essere garantito dalle fonti fossili. In tempi di magra, l’Italia spende ancora quasi 100 miliardi all’anno per le importazioni di combustibili fossili e 20 miliardi in sussidi. Piani ambiziosi per la green economy offrirebbero importanti incentivi allo sviluppo e un possibile percorso per negoziare un nuovo “patto di stabilità” verde per l’Europa. Un altro modo, in fondo, di declinare l’invito di Mario Draghi a non ricadere nella logica delle vecchie politiche di bilancio. E proprio l’ex primo ministro italiano ed ex banchiere sarà incaricato – si apprende dal Soteu della von der Leyen – di preparare “un rapporto sul futuro della competitività europea”.

Protezione della natura e agricoltura possono andare di pari passo

Le nuove idee nascono dalle imprese innovative. Un primo campo d’azione è l’uso del suolo e il funzionamento dei sistemi agricoli. Si tratta di mettere mano a nuove regole per una nuova economia ecologica. Ciò può avvenire creando nuove opportunità di business – e di profitto – con aziende pagate per eliminare la CO2 catturandola nel suolo. Secondo l’imprenditore Andrea Illy, la chiave è la “scalabilità dei ‘servizi ecosistemici’”. A tal fine, è necessario un mercato del carbonio (catturato). L’Italia potrebbe assumere un ruolo guida in questo campo.

Finora mancano normative e incentivi finanziari per l’estrazione e lo stoccaggio naturale della CO2. Un sistema di aste di carbonio sul suolo, regolato da una “banca centrale europea del carbonio”, garantirebbe il corretto funzionamento dei crediti, premiando i fornitori che estraggono la CO2 al costo più basso e assicurando la qualità e la permanenza delle rimozioni. Perché se, appena rimossa, la CO2 fuoriesce di nuovo, il beneficio è nullo.

La natura offre ancora le soluzioni migliori, ma l’innovazione sta portando a nuovi metodi di estrazione commercialmente validi, come l’estrazione diretta attraverso sistemi di filtrazione dell’aria e lo stoccaggio sotterraneo. Ad esempio, lo stoccaggio di CO2 in vecchi giacimenti di gas naturale esauriti.

La domanda di mercato per questi crediti verrebbe dalle aziende che hanno bisogno di diritti per compensare le emissioni residue inevitabili, come avviene nel mercato delle emissioni industriali (Ets). In questo quadro, l’agricoltura europea dovrebbe essere protetta dalla concorrenza climatica “sleale” proveniente dall’esterno dell’Ue, estendendo al settore la tassa sul carbonio alle frontiere dell’Ue già introdotta per le industrie ad alta intensità energetica.

Dare al carbonio un prezzo globale (finalmente!)

Le politiche climatiche sono globali. Le scelte di Ue, Usa e Cina stanno spingendo i mercati verso meccanismi comuni; l’unico modo per evitare conflitti. Se il mercato ha bisogno di un accordo sul prezzo del carbonio, una carbon tax può generare rapidamente gli enormi finanziamenti necessari per la decarbonizzazione e affrontarne i costi sociali. L’Ue si è quindi dotata di un Fondo sociale per il clima. Ora si tratta di utilizzare bene le sue risorse.

Con la fine dell’era fossile, il prezzo della CO2 è il principale strumento di controllo per ridurre lo stock di capitale “nero”, destinato a diventare una zavorra in grado di affondare banche e portafogli finanziari. L’alternativa sono le guerre commerciali e l’inflazione per tutti.



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