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La trappola del progressismo e il bivio del Ppe. Parla Adornato

Il conservatorismo italiano ha davanti a sé un’occasione storica. Meloni rappresenta il ritorno della politica dopo decenni di ubriacatura populista e nuovista. Dovrà adesso costruire intorno a sé una classe dirigente che abbia uno spessore più evidente.  Conversazione con il giornalista e saggista, già deputato, Ferdinando Adornato

La trappola del pensiero progressista, dice Ferdinando Adornato, giornalista, saggista, già deputato e uno degli osservatori più acuti del panorama politico italiano, è quella secondo cui esprimere un’opinione diversa da quella che propone l’approvazione di qualsiasi tipo di legge a favore di qualsiasi tipo di diritto significa essere antidemocratici. Parte da questa consapevolezza l’analisi che affida a Formiche.net dopo l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia su natura, storia e conservatorismo, con un passaggio sul ruolo di Giorgia Meloni e sul perimetro di azione dei conservatori italiani e dei popolari europei.

Ha ragione Galli Della Loggia nel disegnare uno schema in cui la posizione conservatrice ha un vantaggio importante rispetto ad un progressismo basato sul banale liberi tutti?

Sono quasi completamente d’accordo con Ernesto, fatta eccezione per il passaggio sul liberalismo. Esso, in realtà, non è mai stato un terreno arato con una sufficiente attenzione. In Italia sarebbe stato diverso se l’opposizione ai conservatori si fosse fatta carico di un compiuto pensiero liberale. Ma ciò non altera la sostanza del ragionamento, che condivido. La storia antica però non è nata ieri, forse oggi si manifesta con maggiore chiarezza, ma diciamo che l’incubazione di questa situazione è datata almeno agli anni ’70 del secolo scorso, quando vinse il pensiero di chi riteneva di dover sostituire alla teoria dello sfruttamento di Marx la teoria della repressione del desiderio. Oggi se ne vedono i risultati in modo più chiaro, passando da un concetto che sostanzialmente riconduce il benessere delle democrazie all’intenzione dei diritti individuali.

Ovvero?

Si sosteneva che più diritti dell’individuo vengono riconosciuti e sanciti e più la democrazia sta bene. Il che equivale a dire che se io non sono d’accordo con il riconoscimento di questo o di quel diritto, sono automaticamente antidemocratico. Quindi non è una opinione contro un’altra, ma è un attacco alla democrazia che nega il riconoscimento progressivo ed estensivo di tutti i diritti possibili e immaginabili dell’individuo. La deriva di oggi è figlia di questa storia e ciò dovrebbe far riflettere la sinistra, la quale si trova in una situazione assai ambigua perché ha smarrito totalmente una vocazione statalista di uno Stato sociale. Quello che io ho già chiamato liberismo etico. L’incrocio tra statalismo sociale e liberismo etico non è un bell’incrocio, quindi penso che sia giusta l’osservazione di Galli della Loggia, aggiungendo che con questo tipo di incrocio che si determina a sinistra si regalano praterie aperte al pensiero conservatore.

In tutti i settori?

La cronaca del mese di agosto ci ha regalato la follia della violenza giovanile che ricorda cosa può succedere in aree degradate del Paese laddove, al degrado ambientale, si somma come effetto il baratro morale di alcune fasce di giovani. Ha fatto bene Giorgia Meloni a dire di voler mettere nel mirino tutte le Caivano d’Italia. Credo che sia venuto meno, in tanta parte della civiltà italiana, il principio di autorità nello Stato, nella famiglia, nella scuola. Noi italiani abbiamo aspettato per secoli di essere nazione e abbiamo sempre mantenuto una certa diffidenza nei confronti dello Stato considerato amico solo in circostanze eccezionali. Anche l’evasione fiscale così massiccia da noi è figlia di questa antica diffidenza. La famiglia e la scuola, invece, hanno una datazione diversa: per combattere legittimamente l’autoritarismo si demolì ogni principio di autorità, nella famiglia e nella scuola, dei genitori e degli insegnanti.

Con quale risultato?

Senza principio di autorità non esiste convivenza civile, perché l’autorità non può essere confusa, come si fece allora, con l’autoritarismo. Autorità sono le norme e le regole che ci guidano. Tornando al tema dello Stato, è come se vivessimo in una intima deregulation. Le regole valgono sempre per gli altri, mai per noi. Abbiamo regole e norme che corrispondono ai principi di autorità di una società dove non c’è nessuna convivenza civile. Oggi ne paghiamo i frutti, dove i genitori diventano sindacalisti delle bizzarrie dei propri figli e gli insegnanti sono una specie di baby sitter. Vorrei non essere equivocato: non è dappertutto così. Ci sono tantissimi genitori e tanti insegnanti che, con fatica, continuano a voler svolgere il proprio ruolo di educatore. Ma non c’è dubbio che la tendenza sia quella che ho descritto. Oggi chi vuole fare per bene l’insegnante o il genitore è un eroe. Come nasce il consenso attorno al conservatorismo? Con l’assenza di un principio di autorità che regoli la convivenza civile, o con il decadimento dei principi di autorità che dovrebbero comunque regolare la nostra convivenza civile.

Il conservatorismo ha dinanzi a sé un’occasione storica per imporsi?

Rispondo in tre tappe. Intanto sono sempre diffidente verso l’aprirsi di occasioni storiche: ricordo sommessamente che già Berlusconi, non di recente, parlò di campo conservatore e anti progressista tramite una rivoluzione liberale che purtroppo non abbiamo visto. Faccio notare che proprio le elezioni del ’94 furono le elezioni in cui fu coniato per la prima volta il termine progressisti con Achille Occhetto. In quella circostanza il pensiero liberal-conservatore ebbe la sua occasione, poi perduta. Ho la sensazione che Giorgia Meloni, oltre a continuare l’egregio lavoro che ha condotto con tante difficoltà, debba provare, magari più avanti, a sopperire alla scomparsa di Berlusconi e quindi a introdurre gradualmente qualche tematica legata al conservatorismo liberale e non solo al conservatorismo tout court. Ogni riferimento ai balneari è puramente casuale. Ma non è tutto.

Assistiamo, al contempo, a una certa decadenza delle classi dirigenti occidentali, non parlo di quelle orientali perché sono prevalentemente dittature. Le occasioni storiche hanno bisogno di personalità che le rappresentano: Giorgia Meloni è in una posizione forte perché in Europa oggi è visibile la decadenza delle leadership in tutti i Paesi. Invece in Italia c’è stata questa clamorosa novità che è stata letta così da tutto il mondo e l’attenzione per la figura di Giorgia Meloni è molto alta. Detto questo, con l’eccezione del premier, non è che tutto il resto della classe dirigente corrisponda a questa figura. Giorgia Meloni rappresenta il ritorno della politica dopo decenni di ubriacatura populista e nuovista. Dovrà adesso costruire intorno a sé una classe dirigente che abbia uno spessore più evidente.

In che modo?

Il percorso è faticoso, con un tempo lungo di attuazione. Secondo me la risposta alla domanda è qui. Il conservatorismo italiano ha davanti a sé un’occasione storica, a patto che soddisfi questi requisiti.

Provando a traslare questo ragionamento in Europa, dal momento che siamo alla vigilia di un anno elettorale, si profila un bipolarismo tra un progressismo europeo che lavora per l’Unione delle Repubbliche socialiste europee e un conservatorismo che vuole un’Europa confederale?

Credo che il punto interrogativo vada posto sul Partito popolare, chiamato a scegliere una strada. È ragionevole pensare che si trovi a suo agio nell’ispirazione cristiana di fondo, nella difesa della natura dell’essere umano, nel suo percorso biologico. Il che, voglio aprire una parentesi, non significa negare i diritti, perché questa è la trappola del pensiero progressista, quella secondo cui esprimere un’opinione diversa da quella che propone l’approvazione di qualsiasi tipo di legge a favore di qualsiasi tipo di diritto significa essere antidemocratici. Per cui il popolarismo europeo deve decidere da quale parte stare. Quindi il nodo del futuro dell’Europa sta nelle dinamiche che sarà in grado di mettere in movimento il Ppe.

@FDepalo

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