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A San Francisco si parla anche di Ipef. La strategia commerciale Usa secondo il Cnas

Per Emily Kilcrease, direttrice dell’Energy, Economics and Security Program del Cnas, “le discussioni sul commercio sono sempre un dare e avere basato sulle priorità politiche di ogni nazione, e gli Stati Uniti devono riconsiderare ciò che possono rimettere sul tavolo per raggiungere l’obiettivo strategico più grande di reimpostare l’ordine economico globale”

Con i riflettori ancora puntati sull’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping, il vertice della Asia-Pacific Economic Cooperation va avanti: la Bay Area di San Francisco continua a ospitare le riunioni tra i 21 Paesi che messi insieme rappresentano il 40% della popolazione mondiale e circa la metà degli scambi commerciali globali.

Le 14 nazioni negoziatrici dell’Indo Pacific Economic Framework hanno raggiunto il consenso sull’equità e sulle economie a energia pulita, passaggio considerato “sostanziale” in un comunicato congiunto prodotto dopo la riunione che hanno tenuto a San Francisco. Sono due dei quattro pilastri dell’accordo quadro, sull’altro – le supply chain protette e condivise – è stata già raggiunta un’intesa.

Alla Cina e agli Usa, il vertice Apec offre anche un palcoscenico per attivare le politiche commerciali, visto l’importanza degli interlocutori presenti. E con le discussioni interne, proprio in questi giorni, sul destino dell’Ipef che impediscono di annunciare i risultati al vertice di San Francisco, sembra che parte della strategia commerciale americana nella regione sia andata in difficoltà, nota Emily Kilcrease, direttrice dell’Energy, Economics and Security Program del Cnas.

“L’amministrazione ha detto chiaramente di voler dare una svolta decisiva a quelle che considera le politiche commerciali del passato, ma gli eventi recenti dimostrano che non c’è una visione convincente per il futuro. E il tempo per farlo sta per scadere”, aggiunge Kilcrease.

Gli Stati Uniti hanno presentato l’Ipef come la loro iniziativa principale per trasformare la politica commerciale statunitense e approfondire l’integrazione economica con l’importantissima regione indo-pacifica. Biden ha presentato l’Ipef come un nuovo approccio al commercio, non un accordo tradizionale per abbassare le tariffe e aumentare l’accesso al mercato per tutti i paesi, ma un accordo per utilizzare standard comuni su tutto, dall’energia pulita alle transazioni digitali. L’obiettivo è contrastare l’influenza della Cina nella regione.

Ma c’è un punto: cosa fare con le tariffe commerciali? Molti democratici, tra cui il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, sono ancora segnati da come Donald Trump ha cavalcato la sua opposizione all’accordo commerciale firmato dall’ex presidente Barack Obama – il Trans Pacific Partnership – come uno dei più importanti vettori verso la Casa Bianca nel 2016. “Ho chiarito che la parte commerciale dell’Ipef è inaccettabile”, ha detto Sherrod Brown, rappresentante dell’Ohio che è tra i senatori democratici più vulnerabili che cercano la rielezione nel 2024.

Con alcuni Dems che rallentano i lavori in vista temendo che possa essere un boomerang in vista di Usa2024, “sta diventando sempre più chiaro che gli Stati Uniti non saranno in grado di convincere i partner negoziali ad assumere impegni significativi in aree prioritarie per gli Stati Uniti, come il lavoro e l’ambiente, senza offrire qualcosa di significativo in cambio. Risultati come l’accordo per migliorare il coordinamento sulla resilienza della catena di approvvigionamento sono successi solidi, ma troppo piccoli per superare questo difetto fondamentale della strategia Ipef”, spiega l’esperta del Cnas.

Secondo Axios, le pressioni da parte democratica, la Casa Bianca ha ordinato ai negoziatori di San Francisco di rallentare le conversazioni sulla sezione commerciale del quadro. Questo ha complicato la posizione americana, visto che due settimane fa, la rappresentante commerciale statunitense, Katherine Tai, prometteva sulla CNBC importanti notizie al vertice della Apec. La Cina ha usato la situazione per enfatizzare il vulnus tipico delle democrazie: la discussione interna.

“Questa sfida diventerà ancora più difficile man mano che gli Stati Uniti si avvicinano alle elezioni presidenziali, poiché sia l’esperienza della pandemia che le crescenti sfide geopolitiche poste dalla Cina, richiedono giustamente un ripensamento della politica commerciale statunitense e dell’attuale struttura del sistema commerciale globale. Ma c’è il rischio di lasciare che il pendolo oscilli troppo dall’altra parte e di ritirarsi all’interno dei nostri confini economici”, commenta Kilcrease.

Che aggiunge: “Le regole del commercio devono essere riscritte e gli Stati Uniti devono essere l’autore principale, ma non possono imporre le loro condizioni al resto del mondo. Le discussioni sul commercio sono sempre un dare e avere basato sulle priorità politiche di ogni nazione, e gli Stati Uniti devono riconsiderare ciò che possono rimettere sul tavolo per raggiungere l’obiettivo strategico più grande di reimpostare l’ordine economico globale”.

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