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Nessun rischio per la democrazia. La partita di Meloni (e Salvini) in Ue vista da Galli

“L’obiettivo di Meloni è quello di fare una seconda operazione Ursula con FdI dentro, che sarebbe sicuramente un upgrade, con la cancellazione delle accuse di fascismo o di inaffidabilità democratica”. Conversazione con il professore emerito di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Bologna

“In Italia molti hanno temuto che la vittoria di Fratelli d’Italia fosse una vittoria tout court del fascismo e quindi fosse un pericolo per l’impianto costituzionale: in realtà le cose stanno in modo diverso”. Parte da qui Carlo Galli, professore emerito di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Bologna e deputato col Pd nella XVII legislatura, per riflettere con Formiche.net sull’evoluzione delle destre nel panorama europeo in un anno pre-elettorale molto intenso. L’altro ieri l’adunata salviniana a Firenze ha dato dei segnali, che devono confrontarsi non solo con le percentuali di altri pezzi del centrodestra, ma con l’unicum italiano: ovvero quei Fratelli d’Italia che, a differenza di altri, hanno avuto una Fiuggi nella propria storia e che si candidano a recitare un ruolo nella prossima commissione europea.

Viste le percentuali di popolari e conservatori in tutti gli Stati europei, più che un’onda nera, come quella annunciata ieri da Firenze, in Europa vede un’onda blu?

Sì, quello che lei dice è corretto. Naturalmente dobbiamo capire che quel voto conservatore è un voto molto ricco, molto importante, al cui interno esistono rancore, protesta e disagio nei confronti dell’Unione europea ma anche contro il meccanismo stesso dell’euro. Altra cosa è che queste preposte vengano gestite dai partiti di destra in modo davvero illiberale, al di là della propaganda. Certo, l’avanzata dei partiti di destra – blu o nera che sia – dimostra che qualcosa si è rotto nell’impianto teorico e categoriale della politica europea. La socialdemocrazia, soprattutto, sembra entrata in una crisi acuta. Ma l’analisi andrebbe fatta Stato per Stato.

Ovvero?

In ciascuno stato cambiano le motivazioni. Dell’Italia sappiamo. Certo, la Francia sembra uscire dal modello conservatore e con Le Pen cavalca una dura protesta rivolta naturalmente contro Macron e contro il liberalismo che egli incarna: ma non sono sicurissimo che sia una protesta che, ove vincente, prenderà le forme di un governo di destra estrema. Certamente sarà un governo di destra ma forse verranno meno determinate retoriche pubbliche o determinate forme di intervento politico nella società. Però un rovesciamento totale dell’impianto liberaldemocratico delle costituzioni europee io non lo vedo.

In Italia si gridava al pericolo dittatura e al rischio troika prima delle elezioni politiche. Sarà così anche alle europee?

In Italia molti hanno temuto che la vittoria dei Fratelli d’Italia fosse una vittoria tout court del fascismo e quindi fosse un pericolo per l’impianto costituzionale: in realtà le cose stanno in modo diverso. Questi partiti raccolgono una protesta che si presenta anche in forme antiliberali, ma certamente non è detto che questa protesta venga assecondata poi nei fatti dal partito che la raccoglie. Ricordo che la Democrazia cristiana prendeva voti a destra e li spostava verso il centro-sinistra. Oggi i partiti di destra raccolgono fisiologicamente voti di destra ma più che rovesciare la liberaldemocrazia sembra vogliano restringerne lo spazio politico, l’ambito di vigenza. Un po’ diverso il discorso per l’Ungheria.

Quali le differenze?

Lì c’è la teorizzazione della pratica aperta della democrazia illiberale. Bisogna dire che i tratti di illiberalismo del governo ungherese ci sono, sono voluti e sono prodotti da una specifica volontà politica. E tuttavia, benché siano deplorevoli, non arrivano ancora a configurare una forma di superamento pieno degli istituti della liberaldemocrazia. Certamente vi è una cappa piuttosto pesante di conformismo, però non siamo dentro una forma politica assimilabile a dittature di destra.

Quando Salvini da Firenze punta il dito in maniera chiara contro il Ppe, compie un atto politico legittimo oppure mostra di temere la concorrenza di voti data dall’asse Weber-Meloni?

Facciamo un po’ di storia. Quando nasce Fratelli d’Italia, nel dicembre 2012, nasce polemicamente per separazione dal Pdl che era nel Ppe: FdI si distacca ritenendo i popolari espressione di un partito mainstream, subalterno alla volontà di Merkel e completamente orientato a fare dell’Unione europea un insieme di strutture congegnate solo per produrre vantaggi alla Germania. Un bel po’ di acqua è passata sotto i ponti nel corso di questi dieci anni: la polemica contro l’Unione europea è sempre forte però si è tramutata in una polemica che ha come obiettivo non tanto la distruzione dell’Unione europea, né la distruzione dell’euro zona e nemmeno l’uscita unilaterale dell’Italia: ma è una polemica che, lentamente, diventa una proposta di stare in Europa a testa alta e per fare gli interessi dell’Italia. In un modo o nell’altro, un principio di realtà comincia a prevalere oggi con Fratelli d’Italia al governo. Ciò che ha detto Salvini a Firenze è stato molto diverso.

Con quali orizzonti?

L’obiettivo di Meloni è quello di fare una seconda operazione Ursula con FdI dentro, che sarebbe sicuramente un upgrade di Meloni, con la cancellazione delle accuse di fascismo o di inaffidabilità democratica. Naturalmente questo è un elemento di differenziazione forte rispetto alla Lega. Ma attenzione, una differenziazione a livello europeo non ha la minima chance di provocare una rottura dell’alleanza di governo: eventualmente quella differenza potrà essere capitalizzata in futuro, solo alle prossime elezioni politiche con due partiti ancora alleati ma con profili abbastanza diversi.

A che cosa punta Salvini?

Rimanere più intransigente su una posizione apparentemente antisistema, benché sia dentro il governo. Così prova a guadagnare qualche voto in più per riequilibrare il suo rapporto di potere con Meloni, che col suo “perbenismo” mainstream forse qualche voto potrebbe perderlo. Ma si tratta solo di ipotesi.

Guardando i sondaggi Salvini è dato all’8,5% mentre i suoi alleati Le Pen e Wilders al 28 e al 35: quale il punto di caduta?

La Lega in realtà è molto difficile da classificare attraverso una concettualizzazione politologica o anche storico-politica, perché è stata molte cose: non si è ancora capito se è una costola della sinistra, o se invece è un partito di destra estrema. Anche il localismo, focalizzato sulle due regioni più ricche d’Italia, Veneto e Lombardia, non è chiaro, come dimostrano i rapporti altalenanti con il governatore Luca Zaia. Dal 4% iniziale è salita al 30%, per poi sgonfiarsi. Ma dire oggi quale sarà il suo sviluppo non è possibile. Certamente in questo momento Salvini sta puntando, ancora una volta, su una proiezione nazionale. Come andrà a finire? Non lo so, non lo sa neanche Salvini, non lo sa neanche Meloni, ma quello che Salvini sta cercando di fare è di costituirsi come un polo di vera destra differenziato da FdI sia a livello parlamentare europeo sia a livello italiano.

Quante destre vede e come leggerle fra loro? Di tutte, quella di FdI è l’unica che è passata attraverso una svolta come quella di Fiuggi.

Queste destre non sono necessariamente estremistiche fino al punto di costituire un pericolo per le strutture liberaldemocratiche. Il punto più oscuro di tutte è quello AfD in Germania, perché è ancora in uno stato nascente, e non ha ancora preso una linea specifica. Devo dire che nutro fiducia sul fatto che anche AfD non potrà diventare un partito antidemocratico per la profondissima inoculazione di antidoti contro il veleno totalitario che la Germania ha subito e ha praticato dal 1945 ad oggi.

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